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“Kelefa”, la vita degli stranieri senza casa e cittadini del mondo

di Lorenzo Mineo

TITOLO: KELEFA
AUTORE: MBACKE GADJI
EDITORE: EDIZIONI DELL’ARCO-MARNA

Mbacke Gadji ha 39 anni, è nato a Nguith, in Senegal, e si è scoperto scrittore dieci anni fa col suo arrivo in Italia. In lui la scrittura ha la costante caratteristica di sintesi e confronto tra culture: “Cerco di essere un interprete”, spiega infatti parlando dei suoi libri.
Col romanzo “Kelefa, la prova del pozzo”, Gadji racconta di quella generazione dell’Africa nera che vive oggi privata del proprio patrimonio culturale. Il libro prende il titolo da una delle famiglie più potenti che ha fatto la storia del Senegal. Una storia negata da chi fugge la patria per fame di futuro, proteggendosi dietro uno scudo di indifferenza, perché la distanza non diventi dolore. Ma c’è anche chi, diversamente, vive con passione e orgoglio l’unicità delle proprie radici, facendo tesoro delle tradizioni e conservandole nel proprio bagaglio di esperienze, perché, come scrive l’autore: “La storia e il passato dell’umanità devono avere uno spazio nella nostra vita, non sono né da rimuovere né da riscrivere, vorrei tanto che potessimo pescare in questo patrimonio per fronteggiare i nostri problemi di esistenza”.
“Kelefa” si fa soprattutto portavoce della categoria sociale degli “stranieri due volte”, quei migranti che non si sentono a casa né nella loro comunità d’origine, laddove vi fanno ritorno, né in quella che li ospita. Questo sentimento può coincidere con un senso di totale estraneità sociale, una privazione di identità culturale, ma può anche convertirsi nella presa di coscienza di essere cittadini del mondo, nella scoperta di un cosmopolitismo che avvalora il senso stesso di cittadinanza. Potremo quindi dire che la trama, incentrata sul provvisorio ritorno in patria di un giovane migrante, diventa lo strumento attraverso il quale l’autore trasmette un messaggio di mediazione culturale tra l’Occidente e il Terzo Mondo, che, come scrive Elena Ferro nella prefazione del libro, apre “l’uomo alla conoscenza profonda dell’altro e dunque a incontrarlo”.