di Brando Improta
“Solo la finzione non mente;
essa socchiude nella vita di un uomo una porta segreta,
dalla quale scivola la sua anima sconosciuta”
Francois Mauriac
Così tutto quello che era iniziato, è il caso di dire come un bel sogno, si dissolse in un momento. Sono passati alcuni mesi da quello che vi ho raccontato, solo adesso ho trovato la forza di scriverne. Avevo perso tutto, solo il mio nuovo posto di direttore del giornale era rimasto integro: una magra consolazione per chi ha conosciuto il vero amore e l’ha dovuto ripulire dal pavimento come un qualsiasi vaso infranto.
Gianni e Ottavio sono tornati alla loro routine quotidiana e anche io, per quanto possibile, mi sono immerso nuovamente nel lavoro, fra editoriali e reportage da correggere. Ho preso quelle pillole per un po’, i sogni sono così andati via, ma poi ho smesso, e loro son tornati, ma non è uscito fuori più nulla. Non sono arrabbiato per quello che è successo, perché ho capito che fra sogni e realtà non ci può essere un buon dialogo, non ci sarà mai comprensione, come due culture diverse non riusciranno mai a capirsi fino in fondo. Pretendere di poter comprendere il mondo dei sogni sarebbe come andare in Giappone a fare uno show, ricevere un grande applauso e poi incazzarsi perché qualcuno ti urla “Sei un glande!”: che ti incazzi a fare? volevano dirti grande ma la erre per loro è quasi sempre una elle, o forse volevano dirti proprio glande perché magari non gli sei piaciuto, e non si può combattere contro le opinioni altrui.
Bianca è stato un sogno, un bellissimo sogno, e forse dovrei essere almeno un po’ amareggiato perché mi è stato dato e poi rubato, ma allora anche tante popolazioni africane dovrebbero essere addirittura schifate per quanto mangiamo noi occidentali mentre loro fanno la fame; per scendere a livelli più piccoli dovrebbero essere arrabbiati tutti i fan che ricevono cause dalle corporation perché, con le ultime leggi in materia di copyright, non si può fare alla Disney Corporation ciò che Walt Disney fece ai fratelli Grimm. Anche questi son furti, sono ingiustizie, ma se non s’incazzano loro, allora non mi sento in diritto di farlo neanche io.
E poi il bello dei sogni è proprio il loro essere sogni, se diventano realtà allora non lo sono più.
Ogni tanto però mi capita di essere triste, specialmente quando vado a dormire la sera e non trovo più nessuno affianco a me; in questi casi mi bevo qualche bicchiere di vino, mi vien sonno e non ci penso più.
Mentre sto scrivendo queste ultime righe mi trovo sul lungomare, cammino, poi mi viene in mente qualcosa, mi fermo e lo imprimo sulla carta. Poi ricomincio a camminare e intanto sento il rumore del vento, guardo le onde che s’infrangono sugli scogli e mi chiedo se non sia anche questo soltanto un sogno. Mentre sono immerso nei miei pensieri una tizia con la bicicletta mi ha letteralmente investito, sono a terra, io non mi son fatto nulla ma lei pare che abbia un problema alla caviglia. La aiuto ad alzarsi e le guardo bene il viso: è Bianca, o meglio, le somiglia molto. È bionda, capelli lunghi mossi, occhi celesti e lo stesso naso. Dice di chiamarsi Chiara e si scusa, vedo che zoppica allora le offro ospitalità, “Nessun problema” le dico “Abito a poca distanza”.
Prendo la bicicletta e comincio a portarla, mentre lei si appoggia a me per evitare di fare peso sulla caviglia incidentata. Mentre procediamo lentamente verso il mio palazzo, mi racconta qualcosa della sua vita. Io vorrei dirle che so già tutto, che ho riconosciuto subito l’odore dei suoi capelli, identico a quello di una bella crostata fatta in casa e appena sfornata; le vorrei dire che in quegli occhi c’ho già guardato tante volte e che per tante volte mi ci son perso dentro; le vorrei dire che la sua voce la ricordo perfettamente mentre mi sussurra frasi romantiche all’orecchio. Ma non lo faccio, preferisco seguire gli eventi, ora le medicherò la caviglia e poi penso che le chiederò il suo numero. Mentre entriamo in casa mi soffermo un attimo sull’uscio e penso: “E se fosse anche questo un sogno?”; allora mi mordo il labbro inferiore fino a farmi male, e per la prima volta son felice di sentire dolore, giusto per non perdere il contatto con questa imprevedibile realtà.