di Gianmarco Botti
Ormai sono davvero pochi gli spazi che la televisione italiana riserva alla cultura e alle tematiche che la riguardano. Ma pochi non significa inesistenti. Un bell’esempio, in questo senso, lo abbiamo avuto lunedì scorso, con la puntata de L’infedele, programma di Gad Lerner in onda su TvLa7. Si è potuto assistere, infatti, ad un’interessante discussione sul linguaggio e il valore delle parole nel bel mezzo della quale, facendo particolare attenzione, si è potuto sentir parlare di filosofia. Parola rara, dimenticata, bistrattata e abusata negli odierni palinsesti televisivi. Un ospite, la filosofia, che raramente fa capolino in televisione e, quando lo fa, lo dobbiamo al richiamo di grandi nomi come Massimo Cacciari e Dario Antiseri, di tanto in tanto presenti nei dibattiti politici. Nella trasmissione di Lerner, la filosofia è entrata in campo per bocca di un suo cultore, un giovane docente di storia e filosofia nei licei, e lo ha fatto, appunto, nell’ambito di una discussione politica. E questo non è un caso. È un nesso, quello fra politica e pensiero, che oggi ai più sembra superato e anti-storico, ma che invece ha caratterizzato il sorgere stesso di quella nobile arte che è l’amministrazione della cosa pubblica nell’antica Grecia. I filosofi erano spesso anche politici e una formazione “filosofica”, almeno nelle democrazie come quella ateniese, era un requisito di una certa importanza per chi volesse accedere alle cariche pubbliche. Inutile dire come oggi tutto questo non esista più, come sembri roba da fantascienza agli smaliziati politici ed opinionisti della seconda repubblica. Nella nostra epoca non esistono più le ideologie e, a quanto pare, nemmeno le idee. Chi porta queste ultime nel dibattito pubblico o addirittura ha il coraggio di richiamare all’orecchio della politica, figlia dimentica e parricida, il nome della sua venerabile genitrice, la filosofia, va incontro ad un inesorabile scherno. È quel che è accaduto anche al giovane professore, il quale si è spinto così in là da tirare in ballo niente di meno che la Repubblica di Platone. Un nome che forse dice poco allo spettatore medio, ma il fatto stesso che faccia la sua comparsa in una trasmissione televisiva che non ha la pretesa di insegnare la storia della filosofia, fa comprendere che si tratta di un testo importante come pochi altri e dotato di una permanente attualità. Penso infatti che le opere della letteratura e del pensiero antico, lungi dall’essere, come alcuni ritengono, ormai lettera morta, sono ancora in grado di dire qualcosa all’uomo del terzo millennio, il quale, se le leggesse con attenzione, avendo al contempo un occhio attento e critico sulla realtà che lo circonda, vedrebbe di non essere poi tanto cambiato in tutti questi secoli.
La Repubblica da questo punto di vista è un testo eccezionalmente valido, in quanto, dipingendo quello che per l’autore è un modello ideale di società buona e giusta, ci permette di valutare a quale distanza da esso si collochi la concreta realtà sociale e politica in cui viviamo. Ed è precisamente questo, a mio avviso, l’obiettivo che si propone l’opera. Non soltanto un’utopia letteraria, un puro esercizio di immaginazione, come ritengono alcuni, né un disegno politico preciso cui Platone volesse dare attuazione “qui ed ora”, come pensano altri. Ma una sorta di faro che faccia luce nel buio della Storia, un’insegna luminosa che permetta all’uomo di capire se, nelle proprie realizzazioni in campo politico, abbia imboccato la strada della giustizia e della buona costituzione. In questo senso potrebbe essere una lettura utile anche per noi italiani, disorientati dinanzi al degrado della politica del nostro tempo, per stimolare delle interessanti riflessioni.