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“Le tecniche bizzarre di un trapezista russo”

di Annalaura Sbrizzi

Le parole riecheggiavano nella mia testa: “L’accettiamo, è una di noi! L’accettiamo, è una di noi!”. I Freaks mi davano il loro benvenuto. Strana anche io, ovviamente, non tanto per il mio aspetto fisico, certo anche quello degno di tale titolo, ma piuttosto per il mio ruolo ed il mio incredibile coraggio. Ero la donna cannone della combriccola, ma dando una sola occhiata alle mie spalle, l’avresti inteso da solo. Un metro e cinquantacinque di altezza per un metro di larghezza, dati che forse dicono poco, volendo soprassedere sulla profondità del mio volume. Un corpo così, dunque, creato apposta per il più gettonato fenomeno del nostro baraccone. Mamme che si stringevano i bambini al petto. Gridolini sconnessi che funzionavano da iniezioni di adrenalina. Fischi e applausi per congratularsi del mio coraggio. Insomma: l’istante di uno sparo, nulla di più. Un bambino che nasce e due che muoiono. Un istante preceduto da un forte boom e qualche paio di occhi chiusi stretti da far male. Grazie a me.
Carl, il mio datore di lavoro, “mangiafuoco” di professione e di fatto, mi aveva scelto non per le mie innegabili doti naturali, bensì per il fascino che esercitavo su di lui e che, contro ogni regola dell’armonia delle forme, mi era capitato di esercitare anche su qualche altro uomo dai gusti discutibili nel corso della mia vita. Carl era un individuo deviato, un vecchio sdentato dallo sguardo insicuro. I suoi occhi, però, s’infuocavano ogni qualvolta entrava nel mio camerino e si accomodava alle mie spalle. Allora mi guardava la schiena nuda, morbida ma possente: non gli lasciavo guardare nient’altro e chiudeva gli occhi stanchi abbandonandosi alla melodia del mio flebile incessante canticchiare.
Non provavo mai il mio numero prima di uno spettacolo ed assistevo con Carl alle esercitazioni di tutti gli altri: la mia stabilità fisica, tenuta a combattere tre volte la settimana con le leggi di gravità, gli infondeva serenità e sicurezza. Dunque conoscevo perfettamente ogni componente della compagnia e fui la prima a vedere Dimitri, il nostro abile quanto amabile trapezista. Dimitri: capelli biondi, fluenti, riccioli morbidi rigogliosi sulle spalle possenti e vibranti di una forza maschia, tangibile. Dimitri, il trapezista russo di fama internazionale, che era fuggito dalla sua patria per ragioni a noi tutti sconosciute e che, giorno dopo giorno, sfoggiava le sue doti quanto mai virtuose. Il trapezio, tuttavia, non era l’unico oggetto che era in grado di maneggiare con tanta maestria: governava il suo corpo impeccabilmente, il suo corpo ed i corpi che possedeva con vigorosi slanci di passione. Sapevo bene di cosa fosse capace. Occhi negli occhi, dita annodate. Stringimi, perché non mi accorga di aver perduto il respiro. Conoscevo le sue molli movenze, come fossero le mie. Delicata sicurezza nella presa. Colpi bramosi di piacere, delicati. Sorriso delicato, voce melodiosa, il suo sguardo magico. Ed il mio aspetto non lo turbava, affatto. Dimitri era molto attratto dalla mia massiccia figurina. Mi solleticava con lo sguardo e facevo le mie rischiose esibizioni sapendo che all’atterraggio sarei stata accolta dal calore maschio del circolo delle sue nude muscolose braccia. Carl non poteva placare la sua gelosia, condannato a sopportare di vederci insieme dall’inestimabile valore materiale dello splendido Dimitri, al quale non poteva proprio rinunciare.
Eppure, nonostante il suo acclamato talento, Dimitri era triste. Aveva il sorriso triste, la voce lo sguardo tristi. Tristezza muta emanava la sua figura. Triste anche la sua forza fuori dal comune. Dimitri celava un segreto che teneva nascosto anche a me e che mai nessuno di noi seppe spiegarsi. Un fitto alone di mistero rendeva il suo magico cuore inaccessibile per chiunque.
Alle volte mi chiedevo se fosse stato veramente umano, se quel Dimitri non fosse stato solamente un sogno bizzarro, realizzatosi per farci godere anche per un solo istante del divino inafferrabile, così da condannarci al continuo desiderio di ciò che non possediamo e mai possederemo.

Al nulla tornò, quando mi lasciò, così come dal nulla era comparso la prima volta.

Penny Luxemberg, ballerina biondina silhouette tutta pizzi e moine, stava cercando disperatamente di fare colpo sull’impenetrabile Dimitri. Egli la guardava superficialmente, senza alcun interesse. Era in fibrillazione. C’era qualcosa che lo turbava e quel fiocchetto di tulle rosa su quel visino imbecille lo deconcentrava, per quanto fosse ridicolo, dunque proprio non riusciva ad essere ascoltata, la sventurata Penny Luxemberg. Trova un’altra ballerina che sappia fare bla-bla-bla ed allora potrò dirti bla-bla-bla, perché non mi bla-bla-bla? Lo vedi che sei proprio un bla-bla-bla?! Poi, stufo della conversazione, le avvicinò una mano al viso e le tolse quel maledetto fiocchetto rosa, mentre lei si eccitava al solo contatto con la calda pelle del freddo russo. Dimitri se lo infilò in tasca e le voltò le spalle. Scambiò distrattamente due battute con Kurtis Dignam, cuoco puliscicessi lustrascarpe piegacalzini tuttofare del circo, e passò oltre. Trio LSD (lascia stare la droga?), gabbia con tigre, bacinella d’acqua mescolata ad urina di scimmietta danzante, attrezzi di Maciste, trucchi di Adone, Carl con le dita in bocca, cannone, me. Non si soffermò neppure allora: quel giorno qualcosa lo turbava, lo rendeva inquieto e pensieroso. Era pallido in volto, sembrava emaciato, stanco. Stanco di che? Di me, forse? Non poteva essere.
Guardava tutti con distacco, quasi disgustato, nauseato. Questo mondo non lo capisco, allora è fatto male. Ma Dimitri non era tipo da ragionamenti sì banali. Dimitri era sensibile e leggeva dentro le cose, facendole sue e diventando padrone del loro linguaggio nel dominio del linguaggio comune, come solo lui era in grado di fare. Governava tutto ciò che vedeva, eppure a volte non dominava se stesso e allora sprigionava tutta la sua passione sotto forma di arcobaleno. I suoi occhi si facevano brillanti, prendevano vita e vagavano da un viso all’altro penetrando le anime dei comuni mortali, ivi rannicchiandosi per succhiare via tutto lo spirito e lasciare solamente i dubbi, le angosce, le paure. Dimitri prendeva il buono degli altri nel tentativo di placare il male che dai meandri della sua anima rosicchiava il suo cuore puro e, lentamente, inesorabilmente, s’impadroniva di lui, corpo e mente.
Pensai che quel giorno fosse uno di quelli e non mi soffermai quanto avrei dovuto sul suo bizzarro atteggiamento, aspettandomi da un momento all’altro una di quelle esplosioni che tanto mi affascinavano.

Il fu meravigliosamente statuario Dimitri. E così rimarrà nei secoli dei secoli.

Era il suo turno. Non provava dall’ultima esibizione, ma Dimitri non si arrugginiva mai poiché era fatto di cristallo. Primo salto. Penny Luxemberg tirò un sospiro di sollievo: Dimitri non si era torto un capello e potevano ancora sposarsi, andare a vivere in una villetta con giardino ed annesso nano dei sette nani a sorvegliare la buca delle lettere ed aiuole che lei avrebbe curato ogni giorno e bla-bla-bla. Secondo salto riuscito. Carl mi strinse forte la mano e con l’altra libera si asciugò la goccia di sudore che aveva preso il largo sulla sua fronte.
Dimitri riusciva sempre nei suoi esercizi, nonostante la loro difficoltà: era perfetto. Nessun timore.
La serie di salti che cominciò allora, però, andava facendosi sempre più insidiosa e rischiosa. Fiato sospeso e palpitazioni a mille e occhi sbarrati lo tenevano sospeso nel vuoto. Sempre più in alto, sempre più bello, sempre più tempo.
Quando sparì la prima volta mi ricordai di amarlo. L’avevo sempre saputo, solo l’avevo dimenticato. Poi comparve con un sorriso sghembo stampato in viso, un sorriso non suo. Non era Dimitri ad atteggiare la faccia in quel modo. Non era lui che ci guardava malizioso e con gli occhi di fuoco. Non era lui ad agire: di questo sono sempre stata sicura. Fu questione di un secondo. Voltai lo sguardo per un istante. Dimitri doveva avermi cercato con lo sguardo, ma non aveva trovato che le mi spalle. Così, quando mi rivoltai verso di lui, si stava rannicchiando su se stesso, stringendo le braccia intorno alle ginocchia, chiudendo gli occhi. Si lanciò. Dimitri il mio amore. Le mie parole non lo alterarono. I miei pensieri non lo raggiunsero. Aveva preso la sua decisione. Di là dallo spazio, l’infinito. Una risata maligna rimbalzò da un orecchio all’altro. Dimitri era scomparso.
Bisogna saltare il vuoto per passare dal nulla all’immensità.
Dimitri era volato via. Ali invisibili, riflessioni di un animo turbato, l’avevano spinto via oltre la vita. Orizzonte del mio cuore, Dimitri ed il suo sguardo delicato. Mani morbide, occhi chiari.
Quella fu l’ultima volta che vedemmo il suo corpo divino.