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9. William Henry Harrison, il breve

William Henry Harrison, whig (presidente da Marzo ad Aprile 1841)

di Gianmarco Botti

“Signore, ti auguro di comprendere gli autentici principi del governo. Ti auguro di osservarli. Non chiedo altro”

(Parole finali, pronunciate sul letto di morte)

 

Ci vuole davvero poco per entrare nella storia. A William Henry Harrison sono bastati appena trenta giorni alla Casa Bianca per ottenere di diritto un posto in quell’avvincente epopea che è la storia degli Stati Uniti d’America. Storia di grandi uomini che hanno segnato epoche intere con la loro personalità e le loro idee, ma anche di “piccoli uomini”, sconosciuti ai più, che, seppur per breve tempo, hanno avuto in mano le redini della nazione leader dell’Occidente. Harrison è stato uno di questi. “Piccolo uomo” non tanto per l’estrema brevità della sua presidenza e per la scarsa incidenza che essa poté avere sulla vita del Paese. Basti pensare che con il nome di “era del piccolo uomo” i commentatori avevano battezzato gli otto anni di governo di Andrew Jackson, tutt’altro che insignificanti e anzi caratterizzati da mutamenti politici e sociali di notevole portata. Ed in effetti fra Jackson e Harrison, a dispetto della diversa collocazione politica (il primo era democratico, il secondo appartenente allo schieramento dei Whigs che in Gran Bretagna erano i liberali, ma in terra americana costituivano la fazione conservatrice), correva più di un filo d’analogia: erano entrambi uomini semplici e piuttosto rudi, formatisi nelle file dell’esercito e ascesi ai massimi vertici militari, trampolino di lancio per la loro carriera politica. Come Jackson, anche il generale Harrison si era guadagnato una certa notorietà combattendo le popolazioni indiane: incaricato dal presidente Jefferson di spingere le tribù sempre più ad Ovest per estendere i confini della nazione, egli non si astenne da imbrogli e intimidazioni per raggiungere lo scopo. Quando il gran capo degli shawnee, Tecumseh, cominciò ad organizzare la resistenza, Harrison attaccò e distrusse il suo quartier generale a Tippecanoe, nel novembre del 1811. Assurto a gloria nazionale con il nome di battaglia di “Old Tippecanoe”, si preparò ad affrontare una sfida non meno decisiva: le elezioni del 1840 furono le prime, nella storia americana, a svolgersi in un sistema bipartitico giunto a maturità, con due candidati, espressione di partiti nettamente distinti, che si contendevano la presidenza. La competizione elettorale vide i democratici in forte difficoltà a causa della crisi economica e premiò i Whigs e i loro metodi di propaganda fortemente demagogici che in parte sopravvivono ancora oggi nella politica americana: i sostenitori di Harrison organizzarono riunioni all’aperto, banchetti, sfilate, inventarono canzoni elettorali e scandirono slogan inneggianti al loro candidato. Seppero anche sfruttare a suo vantaggio le accuse mosse contro di lui, creando un vero e proprio “personaggio”: il contadino sempliciotto avvezzo a vivere in capanne fatte di tronchi e a tracannare sidro fermentato. Una simile immagine Harrison volle mantenerla anche quando tenne il suo discorso d’insediamento, il 4 marzo 1841: 8945 parole pronunciate impavidamente per 105 minuti sotto una pioggia battente, delle più forti che avessero mai investito Washington. Il discorso di insediamento più lungo della storia americana per la presidenza più breve che gli Stati Uniti abbiano mai avuto: Harrison fu colpito da una polmonite fulminante di cui sarebbe morto appena un mese dopo, il 4 aprile. Era la prima volta che gli Stati Uniti perdevano un presidente in carica. Una tale circostanza si sarebbe verificata ancora diverse volte e il nome di Harrison rimase sempre legato alla cosiddetta “maledizione dell’anno zero”. Pare che dopo l’uccisione dell’indiano Tecumseh, suo fratello, uno stregone conosciuto come “il Profeta” avesse pronunciato queste parole rivolte al futuro presidente degli Stati Uniti: “Nessun Presidente è mai morto durante la sua carica, ma Harrison morirà, ve lo dico io. E quando morirà vi ricorderete della morte di mio fratello Tecumseh. Voi pensate che io abbia perso i miei poteri. Ma vi dico che Harrison morirà e dopo di lui ogni grande capo scelto ogni 20 anni da oggi morirà”. La leggenda è oscura e di dubbia attendibilità. Fatto sta che, dopo Harrison, ben sei su sette dei presidenti che morirono prima di terminare il mandato, chi di morte violenta chi naturale, furono eletti in un anno che terminava con la cifra 0.