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La triste storia dei talenti usa e getta

di Giacomo Palombino

Il talento non è di certo qualcosa che si può imparare, che è possibile apprendere con il tempo; i più grandi artisti hanno infatti tutti avuto la grande fortuna di nascere con delle doti uniche e straordinarie. Ma anche il genio non sarebbe nessuno senza un aiuto indispensabile e irrinunciabile: quello di una persona che con i mezzi giusti gli permetta di non essere uno fra tanti, ma uno su tanti. In effetti, la parola “fortuna” etimologicamente significa “caso”: trovarsi al posto giusto, al momento giusto, per conoscere la persona giusta. La maggior parte dei musicisti che ascoltiamo nascono così, grazie ad un talento scoperto prima di tutto da loro stessi e poi da qualche altro che ha concesso loro la possibilità di proporsi ad una platea nazionale o internazionale.
La maggior parte, ma non tutti: c’è una gamma alquanto numerosa di nomi che, pur avendo un grande talento, non sono stati scoperti e resi noti da gente conosciuta o incontrata per caso, ma grazie a quel particolare tipo di programma televisivo, originariamente nato nel mondo anglosassone ma poi diffusosi in tutto il mondo, che siamo soliti definire “Talent Show”.
In questa seconda ipotesi, la fortuna e il caso in qualche modo si scindono, in quanto la fortuna è quella iniziale di possedere una dote, ma il caso diviene più un’occasione creata ad hoc per scoprire e portare al centro della sena artistica nomi e volti sconosciuti.

Pippo Baudo e Marisa Sannia all'applausometro di "Settevoci"

In Italia già negli anni Cinquanta abbiamo le prime forme di questo tipo di spettacolo: “Primo Applauso” o “Settevoci” sono gli antenati dei più attuali programmi televisivi, che nel giro di diversi anni hanno permesso a giovani artisti di lanciarsi nel mondo dello spettacolo e della musica, nomi come Adriano Celentano, Massimo Ranieri, Orietta Berti. Il format naturalmente era diverso da quello attuale: fra la fine degli anni ’90 e il 2000 qualcosa comincia a cambiare, permettendo una forte evoluzione del “Talent Show”. La prima novità è il televoto, il quale permette al pubblico da casa di votare i loro concorrenti preferiti, prima tramite telefono e poi anche tramite computer. La seconda novità è invece data dal fatto che il format, originariamente nato esclusivamente per dare spazio a nuovi talenti, si intreccia con un altro format, quello del “Reality Show”, spostando l’attenzione dalle esibizioni artistiche alle vite che conducono i partecipanti: così nascono gli attuali “Amici” e “X-factor”.
Quello del Talent Show è quindi un fenomeno nei confronti del quale non si può restare indifferenti, poiché troppo ampia è la sua diffusione: dobbiamo però stare attenti a quello che ci viene proposto.
Non c’è nulla di male nel voler lanciare nuovi volti, anzi, è un modo molto pratico e veloce per rendere noti personaggi talentuosi che altrimenti resterebbero per sempre privi della possibilità di fare successo: il “caso” di cui parlavo prima non incrocia le strade di tutti, mentre questi spettacoli creano un’occasione, un trampolino di lancio. Molte delle voci che oggi sentiamo in radio sono state scoperte in questo modo, da Emma a Noemi, da Alessandro Casillo a Marco Mengoni. Non concentratevi sulla vostra approvazione o antipatia nei loro confronti, ma solo sul dato più interessante: senza la televisione, oggi sarebbero sconosciuti.
Molti però rifiutano di comprendere e accettare tutto questo, a causa di quell’intreccio con il reality che si è venuto a presentare negli ultimi anni: il problema non è tanto il format, ma la conseguenza che in questo modo il pubblico è attento a componenti e circostanze che oscurano ciò che conta in quel momento, cioè l’arte. Freddy Mercury non è divenuto famoso per la sua simpatia, o perché a pranzo mangiava spaghetti, o perché la sera andava a letto presto, ma grazie alle sue doti. Il pubblico invece sceglie l’artista da votare in base a queste considerazioni: voto il cantante X perché è più carino del cantante Y.
Per questo sono dei talenti “usa e getta”, perché spesso, ma non sempre, una volta tornati nella dimensione reale ed usciti definitivamente da quella televisiva, la gente perde il suo interesse nei loro confronti, e li dimentica. Sono pochi quelli che riescono a sopravvivere a questo fenomeno, quei pochi che comunque continuano a proporsi e fare buona musica grazie solo alla loro bravura.
Vedo favorevolmente l’idea di lanciare giovani o comunque nuovi artisti per il tramite della piattaforma televisiva, ma ritengo sia inopportuna l’eccessiva banalità che spesso si avverte guardando questi programmi.