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“Il domatore di farfalle. Dialogo sull’immaginazione” – Capitolo 2

di Riccardo Pulcini

“Di solito i pittori di marine non rappresentano bene il mare. Si può far loro lo stesso rimprovero che si fa ai paesaggisti. Vogliono far mostra di troppa sapienza, fanno dei ritratti delle onde, come i paesaggisti fanno dei ritratti d’alberi, di terreni, di montagne ecc. Non si preoccupano abbastanza dell’effetto sull’immaginazione, che la molteplicità di particolari troppo minuziosi anche se veri, distoglie dallo spettacolo principale, che è l’immensità o la profondità, di cui una certa arte può dar l’idea”
(Eugène Delacroix, Diario)

Come suoni e armonie divine, riecheggiavano nella mente di Archibald quelle mistiche parole che messe insieme dal genio de le poète maudit, gli toccavano lo spirito e gli soggiogavano l’anima a pensieri profondi secoli che seguivano vie tortuose e dalla meta sconosciuta.
Archibald: Terrificante e meravigliosamente bello al contempo. Stento a credere quanto facilmente Baudelaire riesca con poesie come questa a piegare il mio spirito impotente. E’ come se per un volere divino le parole cessassero di essere tali, e quindi in sé limitate, per divenire musica. Ogni lettera qui è un accordo infinito che sussegue un altro.
Richard: Ad esser sincero, amico mio, è questa una delle ragioni per le quali apprezzo il nostro poeta francese più di tanti altri: ricava la bellezza dall’orrore, dal truculento, da tutto ciò che è terrificante ed atterrisce l’uomo. E tutto ciò è di gran lunga più ammirevole della semplice descrizione di una bellezza naturale che può offrire il Mondo. La descrizione non sarà mai Arte. Aborrisco tutte quelle opere che pretendono di rappresentare una qualche forma di Arte, limitandosi semplicemente all’esposizione sterile quanto una pietra di ciò che circonda.
La vera Arte, caro Archie, trascende ciò che appare, trascende il fenomenico.
Archibald: Non sono sicuro di comprenderti, a dire il vero. Non è forse anche Arte la capacità di rappresentare degnamente un personaggio, uno stereotipo della nostra malsana società, in un romanzo che nasce nella vita reale?
Richard: Assolutamente no, amico mio. E’ proprio questo il punto.
Archibald: Allora adesso ti tocca spiegarti.
Richard: Ah, quale sofferenza tu ora mi stai proponendo! Spiegare! L’antitesi dell’Arte è la Vita stessa, perché di essa in fondo non è che la spiegazione. Questa uccide l’Arte, che non dovrebbe mai aver bisogno di spiegazione alcuna, altrimenti cesserebbe all’istante di essere Arte. Ma la nostra epoca pare avere uno spasmodico bisogno di esprimere al dettaglio ogni proposizione per quanto inutile o fine a se stessa. Perché vedi, Archie, è questa la grande differenza tra la Tecnologia e l’Arte: la prima è utile, la seconda, non lo è affatto. Uno dei più grandi scrittori del secolo decimo nono disse “all Art is quite useless”. Mai fu scritta cosa più vera. Ed è forse questa la tragedia dei nostri giorni, tutto deve avere un utilizzo, un risvolto pratico. Se qualcosa non serve, non ci interessa e la mettiamo da parte. Ma gli uomini di questo secolo hanno fatto ancora di più, hanno preso l’Arte e l’hanno costretta, l’hanno obbligata con la forza a diventare utile. La Tecnologia è un mancato aborto dell’Arte.
Comprendi adesso perché ritengo la spiegazione una sofferenza? Le cose più belle non hanno alcun bisogno d’essere spiegate. Altrimenti non sarebbero belle.
Archibald: Come le cose più orrende, del resto. Ad ogni modo ti prometto che in futuro baderò bene a chiederti il minor numero di spiegazioni possibile, ma spero che questa volta tu possa fare un’eccezione, poiché veramente mi riesce difficile comprendere profondamente ciò che stai or dicendo.
Richard: Questo è bene. Ti perdono questa tua richiesta perché la cosa più nobile che un uomo possa fare, è comprendere fino in fondo qualcosa. Al giorno d’oggi conosciamo tutto ma non capiamo niente.
Archibald: Sì, è vero ciò che dici. Ad esempio succede con le emozioni o i sentimenti. Li conosciamo, li viviamo, ma non li capiamo, non li comprendiamo nella loro essenza. Ed è per questo che diventano nocivi per lo spirito, quando in realtà sarebbero la nostra salvezza.
Ma adesso vorrei che tu mi spiegassi meglio questa tua teoria sull’Arte. Innanzitutto, qual è, per te, la forma d’Arte superiore alle altre?
Richard: Vedi, Archie, non ve n’è solo una. Ma sono due forme d’Arte che sembrano nascere dallo stesso ventre divino. Sono ovviamente la Poesia e la Musica.
Archibald: E cos’hanno di similare? L’una è fatta di parole e l’altra di suoni. E’ strano ciò che dici.
Richard: Ad una prima analisi superficiale può apparire così. Ma la sostanza è ben altra cosa. Poesia e Musica nascono dalla stessa fonte dell’eterno, dell’infinito. Nascono entrambe dall’immaginazione e lì ritornano.
Archibald: Che intendi tu per immaginazione?
Richard: L’etimologia del termine ci riconduce ai tempi della Grecia antica. E’ innegabile d’altronde il debito che nutriamo nei confronti di quell’immensa civiltà, debito di cui si erano accorti già ai tempi di Roma eterna, quando l’imperatore Adriano scriveva di aver governato in latino, ma di aver pensato e vissuto in greco. “Immaginazione” ha in sé la radice di un termine greco – mimesi, “μιμησι” – che significa imitazione, rappresentazione o anche riproduzione. Immaginare significa quindi imitare, copiare qualcosa: per Platone, quel qualcosa erano le idee dell’iperuranio.
Archibald: Quindi, per te, immaginare significa copiare? Un po’ sterile come cosa. Non trovi?
Richard: Infatti non è così. Immaginare significa creare.
Archibald: Adesso non ti seguo di nuovo.
Richard: Ti spiegherò cosa intendo quando dico che immaginare significa creare tra poco. Prima, però, ti verso un po’ di questo buon vino che ho fatto arrivare dalla Francia.
Archibald: Ma è rosso?
Richard: Il vino è solo rosso.
Archibald: Lo berrò per ricambiare il piacere che mi hai fatto leggendo per me quella bella poesia di Baudelaire.
Richard: Ecco bravo, bevi. Come lo trovi?
Archibald: Un po’ forte, ma il giusto per riscaldare lo spirito.
Richard: “Fαρμακων δ`αριστοω οινον ενεικαμενοις μεθuσθην”, “C’è un solo farmaco infallibile: farsi portare vino e darsi al bere”. Per Baudelaire, devi sapere caro Archie, il vino aumentava esponenzialmente le facoltà dell’anima, le concedeva la possibilità di essere dio, per alcuni momenti. Se l’hashish distruggeva essenzialmente lo spirito e anzi, lo piegava e lo mortificava, il vino era invece uno strumento per migliorarsi. Io dico che il vino aumenta sì, le facoltà dell’anima, ma una in particolare, e questa è l’immaginazione. Ed è su questa che Musica e Poesia si fondano. Per questo dico che immaginare è allo stesso tempo creare: se immagini qualcosa, la puoi creare. Figurati se immagini qualcosa che addirittura non esiste, o almeno non ancora. L’immaginazione è la facoltà principale dell’uomo, che gli consente di elevarsi a dio in precisi ambiti del vissuto. E questi ambiti sono nondimeno anche la Poesia e la Musica. Una melodia sembra nascere dal nulla, la crea l’artista così come il poeta crea una poesia dentro il suo animo. In realtà la melodia l’artista la immagina, così come il poeta immagina la poesia. Ed entrambe, vengono, accorrono al poeta o all’artista da Mondi superiori, come echi di essenze divine che ci giungono da lontano, o forse neanche troppo, e ci sfiorano la mente e lo spirito. Se il secolo decimo ottavo ha affermato a gran voce, per bocca di personaggi illustri, come lo stesso Voltaire, che l’unico elemento capace di elevare l’uomo al di sopra di questa massa informe fatta di finte morali e valori traballanti era la dea Ragione, oggi ti dico che quel Mondo auspicato è esistito, ha vissuto realmente nelle menti e nei dati di fatto degli uomini sino alla metà del secolo decimo nono. Poi, qualcosa è cambiato. E’ nato Baudelaire. Egli comprese profondamente quanto fosse pericoloso per l’essere umano affidarsi unicamente al suo istinto razionale e capì che l’unico elemento capace di nobilitare l’uomo non era la Ragione, bensì l’immaginazione. Ti confesso, caro Archie, che non trovo davvero miglior sinonimo di immaginazione, se non “intuizione”. Ancora una volta l’etimologia ci viene in aiuto, o meglio, il latino: intuitio da intueri, ossia, guardar dentro. Perché di fatto immaginare qualcosa significa scorgere la sua vera essenza noumenica. Significa nondimeno squarciare il velo di Maya attraverso un lieve movimento dello spirito, attraverso l’immaginazione. E’ questa la prima facoltà dello spirito umano, non la ragione.

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