di Attilio Greco
TANGENTOPOLI: COME TUTTO EBBE INIZIO. Stando a quanto ci dicono le cronache giudizarie e politiche, Tangentopoli ebbe inizio esattamente vent’anni fa. Era il 17 febbraio del 1992, quando l’allora presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano, Mario Chiesa, venne arrestato in flagrante dalle forze dell’ordine a seguito di una denuncia presentata da un imprenditore alla procura milanese. L’accusa per Chiesa era di aver richiesto tangenti ad un’impresa di pulizie, che s’era aggiudicata un appalto all’interno dell’ospizio milanese. All’epoca il presidente del Trivulzio era un influente esponente del partito socialista a Milano, nonché intimo sodale di Bobo Craxi, figlio del premier socialista Bettino, e papabile candidato a sindaco della città meneghina. Il suo arresto eccellente fu solo il primo passo di una cavalcata infernale, che portò le procure di mezza Italia a smascherare, finalmente, la corruzione politica ed imprenditoriale che infestava il Paese. Non che prima di allora nessuno avesse avuto il sentore di quali fossero i reali rapporti di potere all’interno delle istituzioni: semplicemente quanti avevano provato ad indagare, tra giornalisti e magistrati, alla fine avevano dovuto rinunciare. Troppo spessa era la coltre della collusione e dell’omertà, per non parlare della complicità diffusa.
LA SOLITA STORIA. Anche oggi, come in passato, sull’Italia si staglia lo spettro di una nuova Mani Pulite, come sembrano dimostrare i recenti scandali che hanno investito tutte le forze politiche; e ancora una volta la classe dirigente – che in verità sembra dirigere solo se stessa – sembra essere in ginocchio proprio quando, sullo sfondo, grava una crisi economica e sociale senza precedenti. Chi come vi scrive è nato immediatamente all’inizio degli anni ’90, non può ovviamente ricordare in quale clima sociale venne a svilupparsi il fenomeno di Tangentopoli, ma non può non sapere quale filo rosso leghi gli avvenimenti di vent’anni fa all’attuale situazione. Anche in quegli anni il Paese venne guidato da governi tecnici, a causa della gravissima crisi politica dovuta alle inchieste giudiziarie, che aveva privato le istituzioni dei suoi referenti principali, i partiti. Momento peggiore perché la politica scomparisse non poteva esserci: in quei mesi, parallelamente alle indagini del pool di Mani Pulite, la mafia dava inizio ad un durissimo scontro nei confronti dello Stato, arrivando a compiere veri e propri atti di guerra su tutto il territorio nazionale. La scomparsa dei partiti politici e dei loro leaders coincise anche con una situazione economica difficile, dovuta in buona parte ad una gestione finanziaria del sistema Paese quantomeno sconsiderata e priva di limiti, durata per tutti gli anni’80 ed ispirata a criteri di spesa folli ed irragionevoli. I dieci anni precedenti, infatti, l’Italia aveva conosciuto la filosofia della “Milano da bere”, tentando di emulare gli stili di vita e le politiche iperliberiste che Reagan e la Tatcher, rispettivamente in America e in Inghilterra, avevano offerto al mondo. Solo che, purtroppo, ad essersi bevuta Milano non furono solo rampanti yuppies, bensì gli stessi partiti politici usciti più forti, marci e cattivi dai nerissimi anni ’70 e sopravvissuti alla minaccia del terrorismo nero e rosso. Oramai non si capiva più quali fossero i limiti dei partiti che nelle loro schiere accoglievano anche “militanti irregolari” come imprenditori, faccendieri ed appartenenti alla ormai defunta (?) P2. Qualunque sia la fede politica, chi oggi potrebbe mai negare quali interessi unissero il cinghialone Craxi all’amato palazzinaro Berlusconi, che un giorno avrebbe ereditato non già la dote politica dell’illustre socialista, bensì gli uomini e i metodi poco chiari?
A raccontare di quegli anni, allora, risulta facile comprendere quante e quali analogie si presentino oggi. La storia, del resto, ci insegna che gli uomini sono uguali in ogni tempo e in ogni dove, che a comporci sono la medesima carne e gli stessi impulsi ed istinti, dunque è innegabile che prima o poi, possano ripetersi le stesse situazioni con gli stessi personaggi ed esiti. Ma nessuno avrebbe mai pronosticato che oggi, in Italia, si sarebbe verificata a distanza di così poco tempo, una crisi così sinistramente vicina a quella immediatamente conseguente Mani Pulite. Tutto ciò sembra essere al limite dell’irreale. Va bene, come già detto, il ciclico ripetersi degli eventi e degli uomini, ma quanto sta accadendo attualmente lascia davvero perplessi ed attoniti. Sembra quasi che sia in atto un’anaciclosi di polibiana memoria, solo che questa è malata, storpia e deforme, perché in essa non v’è spazio per il natuale alternarsi tra regimi politici sani e loro degenerazioni. Nulla sembra essere cambiato rispetto a vent’anni fa, neanche gli uomini, perché molti di loro sono protagonisti tanto di quelle quanto di queste vicende.
STATO DI SCONCERTO. A ben vedere, tuttavia, qualcosa di diverso sembra esserci, ovverosia il ruolo svolto dai cittadini. Nel 1992 l’inizio di Tangentopoli coincise con il realizzarsi di tutta una serie di situazioni, già ricordate sopra, che causarono un’ indignazione pubblica senza precedenti, seguita talvolta da veri e propri atti d’isteria collettiva, che tanto ricordano i bei tempi immediatamente precedenti all’instaurazione del comitato di salute pubblica, presieduto da Robespierre, nel lontano 1793 ed in piena Rivoluzione francese. Solo che al posto dell’avvocato di Arras, famoso per la sua appassionata dialettica contro i corrotti e privilegiati, sedeva sullo scranno di Palazzo Chigi nientemeno che Bettino Craxi, poi tristemente costretto a riparare in Tunisia, in quel di Hammamet, protetto dal rais locale e lontano dalla giurisdizione italiana, proprio perché condannato in via definitiva per finanziamento illecito ai partiti e corruzione. Oggi molti ricordano Tangentopoli attraverso episodi marginali, come il celeberrimo lancio di monetine contro lo stesso Craxi o i titoloni assetati di giustizia di un allora forcaiolo Vittorio Feltri. Oppure ancora con l’esplosione della satira e della libertà in televisione, dove finalmente fu reso possibile inveire e criticare i politici di turno resi ormai nudi e impotenti dinanzi al popolo catodico dagli avvisi di garanzia. Tangentopoli non fu, dunque, solo un fenomeno giudiziario e politico, circoscritto alle aule di tribunale di mezza Italia ma anche un fenomeno sociale di grande portata, talmente vasto ed inusuale per il nostro Paese che molti ricordano con nostalgia quei momenti perché in essi videro un barlume di unità nella società e nei cittadini. E’ inoltre importante sottolineare quali furono, secondo i più, le conseguenze di quella sollevazione popolare, di quel moto d’indignazione: la fine della Prima Repubblica, cioè del sistema istituzionale e politico che per cinquant’anni aveva retto le sorti del Belpaese. Addirittura, alcuni studiosi ravvisano in Mani Pulite un fenomeno di revisione della costituzione materiale dell’Italia, tanto e tale fu lo sconquasso che ne seguì.
Tutto ciò è però vero solo in parte. E’ giusto dire che il sistema venne sconvolto non grazie unicamente a Di Pietro e agli altri magistrati del pool di Mani Pulite, oltre che alle procure italiane da Nord a Sud. L’azione della magistratura fu un mezzo, non uno scopo, del popolo italiano e delle sue leggi cui la magistratura è e deve essere serva fedele. Se l’azione della giustizia fu così estesa ed implacabile, quindi, fu anche grazie al fatto che l’opinione pubblica chiedeva essa stessa giustizia, che acconsentiva all’operato dei giudici e li difendeva. Ed è dunque per questo motivo che, quanti poi avrebbero occupato le istituzioni nel post-Tangentopoli, si sarebbero preoccupati di creare un clima d’odio e diffidenza tra la cittadinanza e uno dei tre poteri fondanti dello Stato moderno, cioè la magistratura il cui compito è appunto quello di vigilare circa il rispetto delle leggi, poste in essere dai rappresentanti della sovranità popolare. La politica, quella di malaffare, sa bene che un conto è affrontare separatamente i cittadini e la giustizia, altro è quando questi ultimi due s’uniscono contro di lei. Gli effetti di questo sodalizio si chiamano appunto Tangentopoli che non fu una caccia all’uomo ma all’illecito, alla ruberia.
IL VIZIO DEL MALCOSTUME. Ma se davvero di rivoluzione si trattò, allora è inevitabile pensare alle parole di chi davvero ne vide una per poi piegarne gli ideali ai propri interessi. Napoleone disse, infatti, che “durante una rivoluzione vi sono due tipi di uomini: chi combatte per essa e chi la sfrutta per i propri fini”. Tra quanti un tempo predicavano pulizia morale e il ritorno degli onesti nelle istituzioni, tra chi ricordava Berlinguer e la sua questione morale con parole cariche di speranza, c’erano anche molte serpi pronte ad approfittare, come poi puntualmente è avvenuto, del vuoto che una così grave crisi lasciò. E’ dunque inutile parlare di fine della Seconda Repubblica con l’arresto di Bossi, se alla fine a ripetersi sono sempre gli stessi peccati per di più commessi dai soliti peccatori. Perché il senatùr non è nuovo a queste vicende, essendo già stato coinvolto a suo tempo in scandali non sospetti e risaputi a tutti ma forse troppo presto dimenticati. Nel 1994 Bossi ammise, nel corso del processo Enimont, di aver ricevuto una tangente da parte della Montedison. Successivamente, a seguito di inchieste e confessioni, il leader leghista verrà condannato a otto mesi in via definitiva dalla Cassazione nel 1998, per finanziamento illecito ai partiti. E’ difficile allora stupirsi se alcuni capi padani o la loro “cricca magica”, nonostante i continui richiami all’onestà ed alla loro “diversità” rispetto ai corrotti, non si siano fatti problemi a maneggiare denaro in modo così disinvolto. E neanche sembra essere stato un problema se quei soldi erano il frutto di una legge truffa, come quella attuale sul finanziamento ai partiti, oppure il risultato di operazioni di riciclaggio della ‘ndrangheta trapiantata in Lombardia. L’inchiesta attuale sulle camice verdi, infatti, è nata come una costola di una precedente indagine, proprio sul giro d’affari illecito delle cosche calabresi nel Nord Italia. Ma neanche tutto questo è nuovo alle orecchie dei più: alzi la mano chi non ricorda la polemica tra il leghista Maroni, allora ministro dell’interno, e lo scrittore Saviano, reo, secondo la Lega, di aver osato insinuare che potessero esserci legami perversi tra la criminalità organizzata e i fieri barbari padani. Ci è stato detto inoltre, per quindici anni, che la Lega voleva tutelare i soldi dei contribuenti veneti e lombardi dagli sperperi dei meridionali ma non pensavamo che volesse anche rubarli ai contribuenti terroni, e certo non come risarcimento per danni causati dall’Unità d’Italia o dall’amministrazione romana. Non di fine della Seconda Repubblica si deve parlare allora, bensì di una squallida e patetica appendice della Prima.
CORRUZIONE SENZA INDIGNAZIONE. Quel che a prima vista sembra mancare, oggi rispetto a ieri, allora, è l’assenza d’indignazione da parte dei cittadini. Questi ultimi, vent’anni fa, quando capirono che le tanto discusse differenze ideologiche tra destra e sinistra altro non erano in realtà che un paravento elettorale per coprire lo spartirsi della torta, abbatterono ogni barriera e si unirono in un coro d’unanime disapprovazione. Sarà così anche stavolta, oppure assisteremo a scene differenti come avvenuto pochi giorni fa, quando alcuni militanti leghisti, nonostante le voci che si rincorressero sulla “family” Bossi, hanno salutato con grida d’ovazione il senatùr e gridando invece al complotto giudiziario? Per quanto sia questo il finale che i politicanti di malaffare si augurino, cioè loro da un lato e la giustizia con le leggi dall’altro, con il popolo a fare da scudo, sembra difficile credere ad una simile ipotesi. In questi ultimi due anni, immediatamente dopo le ultime elezioni legislative, si è assistito ad un progressivo allontanamento dei cittadini dalla politica la quale, adesso, tutto sembra fare tranne che tentare di recuperare un rapporto che sembra oramai irremediabilmente compromesso. Giusto un anno fa, il governo Berlusconi assisteva impotente alla vittoria dei comitati referendari che portarono alle urne un numero incredibile di cittadini che con il loro voto sconfessarono clamorosamente la politica della maggioranza di allora in materia di nucleare e privatizzazione dell’acqua. Un risultato che ebbe dell’incredibile, a maggior ragione se si considerano i magheggi che il governo attuò pur di rendere il meno attraente possibile perdere una domenica di mare di inzio giugno, per andare a votare. D’altra parte, in un momento così drammatico dal punto di vista economico, è ancor più difficile credere che il popolo si limiti a digrignare i denti e a concedere altra fiducia quando si sentono parole come quelle del deputato Calearo che ha dichiarato di “non trovare simpatici transessuali e omosessuali” e che ha ammesso di non presentarsi praticamente mai ai lavori parlamentari, limitandosi a ritirare lo stipendio pagato dai contribuenti solo per poter estinguere il mutuo sulla sua casa di oltre 200 metri quadrati. Così come è arduo accettare il silenzio che i partiti si sono imposti, tentando di assumere un basso profilo per poter lavorare sotto traccia ai propri interessi, lasciando invece l’onere di amministrare lo Stato ai tecnici. Sembrava la soluzione perfetta quella di ricorrere ad un governo tecnico: lasciare che a governare in questo momento fossero altri, dotati di competenza e senso di responsabilità, mentre i partiti tentano di ripristinare la loro immagine per poi recuperare tra un anno il loro ruolo. Ancora una volta, però, sembra che il lupo perda il pelo ma non il vizio: a fronte degli scandali Lusi, Penati ed ora da ultimo Belsito, i partiti si sono limitati a partorire un’ennesima legge truffa, quella elettorale, e a porre veti sull’azione del governo soprattutto in materia Rai, giustizia e frequenze televisive.
IL POTERE DELLE PERSONE. Forse c’è ancora qualcuno che sia disposto a credere in un ravvedimento tardivo della classe dirigente del Paese ma sarebbe come chiedere all’imputato di autocondannarsi, non più solo moralmente, ma anche penalmente. Come si può avere il coraggio di chiedere a chi è indagato di votare in Parlamento una legge contro la corruzione? D’altra parte, i cittadini non debbono rassegnarsi e credere che non vi sia alternativa perché è in questo ciò che più di tutto i condannati presenti nelle istituzioni, e sono tanti, confidano. L’azione della magistratura deve essere fonte di speranza, trasmettere un messaggio alla società e non più alla politica che sente solo il tintinnare dei soldi o le allettanti promesse del potere. E’importante che i cittadini onesti e fedeli all’Italia, come richiede la Costituzione, possano vedere che c’è un tempo per rubare e un altro per essere indagati. Un’alternativa c’è e ci deve essere sempre, soprattutto adesso che è questione di vita o di morte. Ed è inutile che ci dicano che l’Italia ce la può fare, perché non ce la si fa più a mantenere chi vive del lavoro degli altri, non c’è posto per chi vuol comandare e vivere da parassita. E’ chi lavora, chi paga le tasse e chi produce che può farcela, e non è una novità, sennò non si capirebbe come possiamo essere ancora qua, nonostante tutto. Del resto siamo noi che possiamo fare benissimo a meno di loro, non loro dei nostri soldi e dei nostri sacrifici.