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“Il domatore di farfalle. Dialogo sull’immaginazione” – Capitolo 3.2

di Riccardo Pulcini

Archibald: Non dirmi che anche nell’amore c’entra l’immaginazione?! Non vedo proprio come.
Richard: Adesso te lo spiego.
Archibald: Sono davvero curioso di sapere.
Richard: Anche questo è bene. La curiosità, checché ne dica Apuleio, è fonte di sapere, anzi è il suo primo motore.
Archibald: Anche se talvolta, o forse troppe volte, mette nei guai. Sapere troppo è ugualmente dannoso di non sapere nulla. Ignoranza e sicumera sono non poco simili fra di loro.
Richard: Non lo posso negare.
Archibald: Me ne felicito. Ma, adesso, caro Richard, faresti cosa gradita a spiegarmi in che misura l’amore risente dell’influenza dell’immaginazione.
Richard: Semplicemente perché ne è figlio.
Archibald: Chi?
Richard: Archie caro, ma l’amore!
Archibald: E’ figlio dell’immaginazione?
Richard: Sì, amico mio. Esattamente così come il Mondo intero è figlio dell’immaginazione di Dio, poiché come ti ho detto, essa è la prima espressione della volontà, in questo caso, di Dio. E l’amore nasce nella nostra immaginazione, non nella materia o nei sensi. La materia non fa altro che corrompere l’amore. L’amore è ciò che di più perfetto può creare l’immaginazione di un uomo, perché l’amore è Arte nella sua più alta espressione. Non è diverso da un quadro, da una poesia, da una scultura o da una fotografia. Ma la maggior parte delle volte gli uomini non sono in grado di dar vita a quella creatura che gli è sbocciata nello spirito come un fiore e la lasciano miseramente appassire nell’attesa che se ne dimentichino. L’amore nella sua vera essenza è una tempesta. Non vi è pace, non vi è quiete e nemmeno armonia, e qualche volta sembra portarti a due centimetri dal baratro. E solo dopo scoprirai che è stato quello stesso amore a salvarti dal baratro. Non vi sono leggi, non vi sono regole né vi è una morale. Eticamente parlando, l’amore fa schifo. E’ pieno di tradimenti, di atti osceni, di ingiurie, di grida, urla e Dio sa solo, cos’altro. Ma ha un solo problema. Uno solo: è bello. Dannatamente bello. Come gran parte dell’Arte migliore: è oscena, ma è bella. Proprio come la poesia della carogna di Baudelaire. Ciò che l’Amore fa in sostanza, è portare a compimento un processo di maturazione delle facoltà più nobili e più orrende dell’uomo e farle sbocciare. Negli amanti l’immaginazione ha una potenza che rasenta il sovrannaturale così come l’odio è moltiplicato decine e decine di volte.
C’è qualche saggio, caro Archie, che va dicendo che l’amore porta amore. Mi permetto di dissentire, amico mio. L’amore non porta amore. Porta qualcosa di infinitamente più grande e più potente. L’amore porta vita. E’ la sua fonte di sostentamento, in fin dei conti.

Archibald: Ma, dimmi, caro Richard, cos’è invece l’odio? Sembra la malattia di questi ultimi sventurati secoli di storia. E mi pare invero impresa di più che ardua natura, quella di eliminarlo dalla nostra società, anzi, sembra esserne diventata parte endemica. Devo dirti che, per l’opinione che mi son fatto io, credo che l’odio sia assenza di amore, così come il buio è assenza di luce, o il freddo assenza di calore.
Richard: Ad esser sincero, non credo, amico mio. Sarebbe un po’ come dire che l’odio è assenza di immaginazione. Al contrario. L’odio richiede uno sforzo dell’immaginazione notevole. Credo in verità che questo sentimento tanto maligno, sia in realtà la degenerazione di alcune forme d’amore. E’ la degenerazione di immaginazioni malate.
Archibald: Ciò che in sostanza stai dicendo, Richard, è che colui che odia, al contempo ama, seppur in una maniera da considerarsi, per così dire, sbagliata. E’ possibile mi chiedo, ora, questo? E’ possibile amare e sbagliare? Ti dirò, amico mio, che non credo che ciò sia possibile. Non sono disposto a credere in realtà che amare possa essere del tutto sbagliato in certi casi. Trovo più che altro che vi sia sempre di fondo una sostanza buona, pura, ecco, in ogni amore, che a seconda delle circostanze si manifesta o meno. Ma amare, andiamo, non può mai essere del tutto sbagliato.
Richard: Un amore sano è sempre sbagliato, caro Archie. Perché un amore sano e vero, avrebbe bisogno di circostanze materiali che il nostro Mondo non è disposto a concederci. Il problema, credo, si fondi sulla questione del compromesso.
Archibald: Quale compromesso?
Richard: Il compromesso che puntualmente e quasi sempre tacitamente – ma questa è peculiarità caratteristica delle donne in verità – stipulano i due amanti. Ricorda amico mio che l’amore è più simile ad una guerra che ad una pace, più alla tempesta che alla bonaccia, più alla musica che al silenzio. I due innamorati, a insaputa e a discapito di entrambi, stipulano un accordo secondo il quale ognuno si impegna a comportarsi moralmente ed eticamente bene, e quindi, in sostanza, a non “uccidere” l’altro o se stessi. Capiterebbe altrimenti che l’istinto naturale di uno dei due, lo porterebbe a cercare di impossessarsi della spiritualità dell’altra persona, e quindi a plasmarla, a modificarla secondando le proprie passioni più svariate. Oppure potrebbe accadere – e talvolta capita insieme al caso precedente – che uno dei due si sacrifichi, si “uccida”, per far sì che l’altro possa finalmente vivere, come rinato da questo turbine di morte e vita. Il problema è che gli amanti credono di aver diritto alla pace, alla quiete, al silenzio. Si sbagliano. L’unica cosa di cui hanno diritto è essere innamorati, e non ne sono neanche tanto sicuro.
Archibald: Quindi, per te, l’amore perfetto, è quello che viene alimentato dall’immaginazione?
Richard: Non mi piace il termine ‘perfetto’. Mi sa tanto di imperfezione. Comunque, diciamo che in pratica è così. L’amore vero nasce dall’immaginazione e da essa trae sostentamento. Perché l’immaginazione ha il potere di idealizzare le cose. La Ragione, invece, ad esempio, non idealizza le cose, le razionalizza. Ed è molto più pericoloso razionalizzare qualunque cosa che idealizzarla. Tutto ciò che viene idealizzato è nobile, sbagliato, forse, ma nobile. Tutto ciò che viene razionalizzato è triste, forse giusto, ma triste. E la tristezza se non accompagnata da una buona dose di bellezza, è letale. E poi, al giorno d’oggi la giustizia è davvero cosa di poco conto.
Archibald: Ma al giorno d’oggi nessuno idealizza più niente. Pare, anzi, che idealizzare qualcosa equivalga quasi a svalutarla. Ogni secolo ha avuto qualcosa in cui credere: il secolo decimo nono nell’uomo, il secolo ventesimo nelle idee, e il ventunesimo nella guerra. A noi non è rimasto nulla.
Richard: Sembra davvero che sia così, amico mio. Sembra davvero che credere in qualcosa, qualunque cosa, sia diventato a dir poco pericoloso. Perché quando si crede in qualcosa, si diventa responsabili di quella cosa. E la responsabilità è un concetto che è stato sempre tralasciato dagli uomini. Ma credere in qualcosa significa anche darsi finalmente una ragione per vivere. Ti dirò, caro Archie, in questo siècle de les choses, in cui tutto è materia, persino le idee, persino Dio; in questo siècle de les choses in cui tutto è denaro, in cui tutto è avere e niente pare essere; in questo sventurato secolo in cui le parole hanno cessato di essere fatti, ma solo infecondi rumori; in questo secolo in cui tutto è delegato ai sensi, in cui sentimenti come l’amore sono diventati di moda solo e soltanto per sentito dire, e in cui si annuncia a gran voce, lo sciopero dello spirito; in questo secolo, ti dirò, Archie caro, ci è rimasta l’immaginazione. E Dio sa che sarà lei e lei soltanto, a poterci salvare da noi stessi.

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