di Gianmarco Botti
“La tempesta della follia e della faziosità
è destinata ad infrangersi contro la solida roccia della Costituzione”
A metà dell’Ottocento soltanto una guida ferma e lungimirante avrebbe potuto salvare l’Unione dal disastro, dilaniata com’era da acute controversie territoriali che occultavano (e neanche tanto) la ben più centrale disputa sulla schiavitù. Le elezioni del 1852 cancellarono ogni speranza. La vittoria dei democratici portò alla Casa Bianca un semisconosciuto avvocato del New Hampshire di nome Franklin Pierce, che fino ad allora era rimasto totalmente estraneo al circuito della grande politica nazionale. Fra i principali supporter della candidatura di Pierce spiccava il nome del romanziere Nathaniel Hawthorne, suo buon amico dai tempi del college: il popolarissimo scrittore, che appena due anni prima aveva ottenuto uno straordinario successo con “La lettera scarlatta”, diede il suo originale contributo alla campagna elettorale approntando una biografia del candidato democratico. Ciononostante, alla vigilia del voto, Pierce e il suo programma rappresentavano ancora un’incognita per gran parte dell’elettorato: di lui si sapeva solo che era un convinto sostenitore del Compromesso del 1850 e che, in linea coi suoi predecessori, avrebbe fatto di tutto per mettere a tacere il dibattito sullo schiavismo. Eppure, ancora una volta, i nodi sarebbero venuti al pettine e il comportamento del presidente, formalmente neutrale, ma sostanzialmente piuttosto supino agli interessi della componente sudista del suo gabinetto e del Congresso, non avrebbe impedito che la vecchia vertenza si riaprisse, stavolta con esito nefasto. Debole ed esitante, si dimostrò risoluto soltanto nel prendere la strada sbagliata, quella cioè di una politica espansionistica aggressiva che ambiva a dirottare l’attenzione degli americani dai problemi interni alle faccende estere: fu sotto la presidenza Pierce che gli Stati Uniti misero per la prima volta gli occhi su Cuba, ultimo baluardo dell’impero spagnolo nel continente e uno dei pochi territori, fuori degli USA, dove la schiavitù fosse ancora praticata. Allora come cento anni dopo, quando gli americani tentarono lo sbarco nella Baia dei Porci, le manovre, diplomatiche e militari, per conquistare l’isola fallirono miseramente. Eppure, le mire del presidente su Cuba bastarono a farlo accusare di essere un burattino nelle mani del “potere schiavista” e a suscitare una dura reazione del fronte abolizionista. La tregua apparente che durava dal 1850 fu brutalmente interrotta nel maggio 1854 dall’approvazione in Congresso di un provvedimento che avrebbe rappresentato il primo deciso passo in direzione della Guerra di Secessione: il Kansas-Nebraska Act fu scritto dall’energico senatore democratico Stephen A. Douglas, ma l’appoggio dell’amministrazione Pierce fu determinante per portarlo a rapida approvazione. Sulla scia del Compromesso raggiunto su California e New Mexico, esso prevedeva che anche nei due nuovi territori di Kansas e Nebraska la questione della schiavitù fosse rimessa alla volontà popolare. Ma, come era avvenuto nel 1850, un tentativo di mediazione si risolveva in una nuova occasione di conflitto. Il primo effetto disgregatore della legge si esercitò in Parlamento: dissoltosi il vincolo della fedeltà di partito, tanto i democratici quanto i whigs si divisero al loro interno fra favorevoli e contrari. Fu questo l’ultimo colpo che un soggetto politico già malandato, come quello whig, riuscì ad incassare, prima di sciogliersi definitivamente e lasciare spazio al nuovo Partito Repubblicano. Ben più tragiche furono però le conseguenze che il Kansas-Nebraska Act sortì nel Paese. In Kansas si ebbe un’infiltrazione massiccia di immigrati dal vicino Missouri, intenzionati a prendere parte al voto per impedire che uno stato confinante abolisse la schiavitù. Quella che doveva essere un’occasione di partecipazione democratica si trasformò in una farsa: furono eletti due parlamenti e due governatori rivali, che si contendevano la legittimità. Se Pierce avesse evitato di riconoscerli entrambi, probabilmente la questione si sarebbe chiusa lì. E invece il presidente dichiarò il parlamento schiavista l’unico legittimo e lo invitò a procedere alla trasformazione del Kansas in uno stato. A quel punto la tensione esplose in violenza. Prima che le truppe federali, alla fine del 1856, riuscissero a ristabilire l’ordine, finirono uccise circa duecento persone. Ma il “Kansas insanguinato” era solo la prima nota di una lunga sinfonia che avrebbe di lì a poco dominato, come una macabra colonna sonora, un’intera stagione della storia americana e mondiale.