di Giacomo Palombino
Sbagliano tutti coloro che credono in una morte o quanto meno in una minore presenza nel Ventunesimo secolo dei generi musicali più raffinati: sbagliano tutte quelle persone convinte che la musica classica venga scritta per pochi raffinati uditori. È vero, la creatività digitale nasconde dei tranelli, delle trappole a volte complesse da evitare per il musicista classico, ma in realtà questo resiste, sopravvive, anche nei confronti di quell’inesorabile scorrere del tempo che sembrerebbe portarsi via tutto ciò che di più nobile e piacevole c’è nell’arte contemporanea.
È a questa “resistenza”, a questo gusto da molti poco capito, che appartiene il giovane talento montenegrino Milos Karadaglic. Il padre avrebbe voluto fargli studiare violino, ma fin da piccolo lui è stato attratto da una vecchia chitarra trovata nella soffitta di casa. La passione per questo strumento nasce immediatamente, e grazie alla sua perseveranza Milos riesce ad entrare alla Royal Academy of Music, prestigiosa scuola londinese.
Supportato dalla sua casa discografica, la Universal, il chitarrista è riuscito ad affermarsi in tutto il mondo, competendo persino con concorrenti di estrazione pop. La rivista “Gramophone” lo elegge “Young Artist of the Year” e non manca il giudizio del settimanale “L’Espresso” (fonte di una parte delle informazioni contenute nel presente articolo), nel quale Riccardo Lenzi intitola un recente intervento “Classico da hit parade”.
A pensarci bene, lo strumento suonato da Milos non è, almeno in apparenza, uno dei più “raffinati”. Quando si pensa alle ricche orchestre, ai grandi compositori che tutti, almeno una volta, abbiamo ascoltato, vengono in mente tutt’altre immagini: i dolci profili degli archi, i luccicanti colori dei fiati, i possenti corpi dei lunghi pianoforti a coda. Nell’immaginario comune, infatti, siamo stati abituati, con estrema ignoranza, a pensare alla chitarra come ad uno strumento da spiaggia, associato però (fortunatamente) ad alcuni grandi nomi del rock emersi dagli anni Sessanta in poi.
In realtà, prima ancora dei tanti Hendrix o Steve Vai, negli anni Venti del Novecento un grandissimo musicista riuscì a rendere questo strumento voce fondamentale nel concerto solistico, riuscendo a farlo apprezzare ai pubblici più colti e raffinati all’interno dei grandi teatri: il suo nome era Andrés Segovia. Da quest’ultimo prende in qualche modo origine una ricca stirpe di chitarristi, fra i quali, solo per ricordarne alcuni, John Williams, Christopher Parkening e Sharon Isbin. Segovia è stato insomma motivo di ispirazione per tanti, compreso il giovane Karadaglic, il quale rivela che si appassionò alla chitarra proprio grazie ad un LP del grande musicista spagnolo.
Ma la sua bravura è stata quella di non concentrarsi solo ed esclusivamente su quelli stereotipi musicali da lui studiati e conosciuti perfettamente, ma di rintracciare, scoprire e creare nuove sonorità prendendo spunto da artisti di diversa estrazione, dal classico al pop, al jazz. Dichiara infatti che sono tanti i nomi con cui avrebbe il desiderio di lavorare, e fra questi spunta anche quello di Sting, con il quale ha già avuto la fortuna di confrontarsi.
La chitarra sta quindi vivendo un revival: la BBC ha persino affermato che il giovane montenegrino abbia nelle sue tasche il 20 per cento del mercato classico britannico. Si spera che in questo modo la musica “colta” non rimanga confinata all’ascolto di poche attente orecchie, ma riesca a coinvolgere, con volti ed idee nuove, un pubblico il più giovane possibile. Questo è possibile proprio perché, come afferma lo stesso Milos, “la chitarra è lo strumento più popolare al mondo e il repertorio scritto per esso è accessibile a persone provenienti da ogni tipo di background, cosa che non richiede compromessi artistici di alcuna sorta” (fonte “L’Espresso”).