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“Twixt”: la morte di Francis Ford Coppola e del cinema

di Marco Chiappetta

TRAMA: Hall Baltimore (Val Kilmer), mediocre e degradato scrittorucolo di romanzi thriller, in una cittadina desolata dell’entroterra americano per pubblicizzare un suo libro, incontra piuttosto lo sceriffo del posto, Bobby LaGrange (Bruce Dern), aspirante letterato, che gli propone di scrivere insieme una storia riguardo una strage di bambini avvenuta lì diverso tempo prima. Alla ricerca della soluzione del mistero e dell’ispirazione creativa, Hall si affida al potere dei sogni, dove incontrerà la bambina vampira Virginia (Elle Fanning) e il fantasma dello scrittore Edgar Allan Poe (Ben Chaplin), che lo guidano non solo a scoprire la verità, ma anche a esorcizzare il suo tragico passato e la morte della sua figlioletta in un incidente di barca.
GIUDIZIO: Nel 1997 Francis Ford Coppola annunciò di ritirarsi dal cinema, di cui aveva fatto la storia, per dedicarsi a produrre vino; scomparso, diventato leggenda, ci ha ripensato su e dal 2007 (“Un’altra giovinezza”) a oggi ha deciso poi di sputtanarsi. Con “Twixt”, horroraccio comico e patetico a un tempo, nemmeno catalogabile nella serie B dei film, Coppola autore può definirsi morto. L’epitaffio lo firmano un cast inetto (con un Val Kilmer ingolfito, codinato e obeso, che a momenti abbaia tanto è cane), una sceneggiatura che non esiste (con toni sbalzati, verosimiglianza e coerenza narrativa al diavolo, personaggi e attori spaesati), persino la regia, solitamente accurata, che qui si diletta tra virtuosismi inutili (bianconero, inquadrature classiche, split-screen) e effetti digitali che non ingannano proprio nessuno, esplosioni di sangue e violenza inutili proprio da chi, con una testa di cavallo mozzata e una cavalcata di aerei che diffondono napalm, aveva raccontato il male del mondo arrivando alla bellezza assoluta. Questo suo ultimo film, si spera davvero ultimo (ma tanto è lo stesso), rappresenta la fine di un certo cinema: inutile che Coppola si nasconda, si giustifichi o si vanti per la sua presunta libertà creativa e sperimentale, non solo perché si produce da sé (chi altro ne avrebbe il coraggio!) ma anche perché mostrare elementi a colori (limoni gialli, sangue rosso, etc.) in scene in bianconero non solo è inutile e per niente simbolico (come lo erano invece i pesci rossi di “Rusty il selvaggio”), ma nemmeno più originale. Non lo è la storia tantomeno, che butta dentro stereotipi dello scrittore stile Stephen King malandato sul viale del tramonto alcolizzato abbandonato sfigato e fallito, ambientazioni e misteri visti e rivisti, il povero Edgar Allan Poe che ora si sta rivoltando, vampiri, infanticidi, stragi, e roba di cui si perde il filo subito. Non dice, né spiega niente, non diverte e non spaventa. La sua bruttezza è quasi volontario masochismo. Largamente autobiografico (Coppola fu spesso artista in crisi, e come per il protagonista, suo figlio morì davvero in un incidente nautico) e ispirato a un sogno dello stesso (sognò un incontro con Poe e un mistero da risolvere), non vi aggiunge nulla più. Tornasse a fare vino, Coppola, e ne beva magari di meno.
“Twixt” è una parola arcaica che vuol dire “tra”: come il film sarebbe, secondo Coppola, sospeso tra realtà e sogno, commedia e dramma, vivi e fantasmi, passato e presente.
Non ancora distribuito in Italia. Lo sarà?
VOTO: 1/5