Si rincorrono già le voci per i papabili convocati alla manifestazione continentale per nazionali di calcio.
Prandelli tenta di recuperare in extremis Cassano, colpito da ischemia i primi di novembre e tornato a giocare a pieno ritmo non più di due settimane fa, mentre deve dire addio ad uno dei migliori talenti del panorama calcistico odierno, Giuseppe Rossi, bloccato per la lacerazione dello stesso crociato operato non più di sette mesi fa. Alle prese con le bizze di super Mario Balotelli, il ct sta pensando di riscoprire qualche talento non più nel fiore degli anni, ed il pensiero vola necessariamente ai vari Del Piero, Totti, Di Natale.
Senza tener conto della tentazione Borini, ragazzo classe ’91 esploso definitivamente quest’anno tra le fila della Roma.
Il concetto di fondo è chiaro: le intenzioni del mister erano quelle di aprire un ciclo di ringiovanimento della rosa, puntando su pochi giocatori di esperienza, neanche troppo in là con gli anni in realtà, e dar libero sfogo ai giovani, sempre sottovalutati soprattutto nelle rappresentative nazionali.
Quali che siano le cause di questa cultura quasi “nonnista” che l’Italia fatica a scrollarsi di dosso, in questa situazione di estrema emergenza è forse il caso di affidarsi giustamente a calciatori che possano garantire quell’esperienza internazionale e prestazioni che garantirebbero alla nazionale un principio di rivalsa nei confronti delle, pare, più attrezzate compagini europee?
Che, nel momento della necessità, ci si appelli alla classica mentalità catenacciara italiana?
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