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15. James Buchanan, il pavido

James Buchanan, democratico (Presidente dal 1857 al 1861)

di Gianmarco Botti

“Signore, se siete così contento di assumere la presidenza quanto io lo sono di lasciarla, allora siete davvero un uomo felice”
(Parole rivolte a Lincoln in occasione del passaggio delle consegne)

L’uomo sbagliato al momento sbagliato. A posteriori avrebbe potuto essere questo lo slogan di James Buchanan per le elezioni presidenziali del 1856, tenutesi in uno dei frangenti più critici della storia degli Stati Uniti d’America. E dire che i dirigenti del Partito Democratico avevano preferito candidare lui piuttosto che il battagliero senatore Douglas o il presidente uscente Pierce, entrambi troppo compromessi nella crisi territoriale in atto e ormai politicamente “macchiati” del sangue versato in Kansas: questo sessantacinquenne della Pennsylvania dall’aria mite e rassicurante, seppure un po’ strana (è stato l’unico presidente scapolo della storia americana, peculiarità che gli attirò anche l’accusa di essere omosessuale), negli ultimi anni aveva servito come ambasciatore in Gran Bretagna e questo gli garantiva una totale estraneità rispetto ai disordini che stavano mettendo in subbuglio gli USA. Il suo programma elettorale, poi, con l’appoggio incondizionato alla sovranità popolare, doveva tranquillizzare l’opinione pubblica sul fatto che non ci sarebbero stati colpi di coda da parte della Casa Bianca nell’affrontare la questione dei territori. Eppure la mitezza e moderazione del candidato, una volta che questi fu eletto presidente, si trasformarono in pavidità e debolezza, elementi del carattere che, come era successo al suo predecessore, lo resero estremamente influenzabile da parte delle componenti sudiste del governo e incline ad assecondarle in tutto e per tutto pur di scongiurare il rischio di una secessione. Proprio la secessione divenne l’incubo costante del presidente, la sua vera ossessione, e ciononostante (o forse proprio per questo) i quattro anni dell’amministrazione Buchanan rappresentarono lo sprint finale di quella corsa forsennata verso la guerra che ormai non poteva più arrestarsi. Intanto, una profonda depressione economica aveva colpito la nazione, aggravando i contrasti regionali e rafforzando nel Sud, la cui economia reggeva complessivamente meglio di quella del Nord grazie alla tenuta della domanda di cotone, l’idea che la sua prosperità poteva essere garantita anche o magari di più al di fuori dell’Unione. Appena due giorni dopo l’insediamento di Buchanan, il 6 maggio 1857, la Corte Suprema pronunciò la sentenza sul caso dello schiavo nero Dred Scott il quale, trasferitosi con il suo padrone in un territorio in cui il Compromesso del 1850 aveva dichiarato illegale la schiavitù, aveva chiesto di essere liberato, attirandosi il sostegno del movimento abolizionista. La decisione dei giudici di respingere il ricorso e la conseguente dichiarazione di incostituzionalità del Compromesso accesero la miccia di nuovi disordini: Buchanan e la Corte Suprema furono accusati dai repubblicani di complottare per estendere lo schiavismo a tutto il territorio nazionale. Nel Paese riesplose la violenza. Famigerate sono le gesta del fanatico abolizionista John Brown, affetto da paranoia e fermamente convinto di essere lo strumento che Dio aveva scelto per estirpare la schiavitù. Il tentativo di aizzare, nell’ottobre del 1859, gli schiavi della Virginia all’insurrezione fallì miseramente e Brown fu prontamente processato e giustiziato, divenendo un martire della causa antischiavista. Ma il presidente era troppo occupato a combattere una guerra interna al suo partito, ormai profondamente spaccato, per accorgersi di come gli eventi stavano precipitando. I tempi erano divenuti maturi perché un membro del Partito Repubblicano potesse aspirare alla presidenza e, con i democratici in crisi totale, non fu difficile per un abile e determinato avvocato dell’Illinois di nome Abraham Lincoln conquistare la Casa Bianca nel novembre 1860. Un presidente repubblicano e nordista era più di quanto i sudisti fossero disposti a sopportare: nei primi mesi del 1861, prima ancora che Lincoln si insediasse, sette stati del Sud abbandonarono l’Unione. Nascevano così gli Stati Confederati d’America. “Io sono l’ultimo presidente degli Stati Uniti!”, fu il grido d’allarme di Buchanan che intanto era ancora indeciso sul da farsi. Evitando di intervenire con la forza, sperava che il Sud tornasse sui suoi passi. In realtà, il presidente non vedeva l’ora di arrivare alla scadenza del mandato per lasciare al suo successore quella bomba pronta ad esplodere. Come un pavido capitano che abbandona la nave proprio nel momento in cui sta affondando, si ritirò giusto in tempo per fare spazio a chi con ben altro coraggio e decisione l’avrebbe traghettata in porto, al sicuro dalla furia della tempesta.