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La rivoluzione in panchina torna di moda. Ma è davvero la soluzione?

di Francesco Astarita

Cresce, in serie A, il malcontento per la gestione tecnico-tattica della propria squadra, e, come sempre in questi casi, a finire sulla graticola è l’allenatore.
Al di fuori delle uniche Juventus ed Udinese, a ben vedere, tutti i più importanti team stanno pensando alla sostituzione dell’attuale guida tecnica. Che sia un grande nome o un giovane in rampa di lancio, non fa troppa differenza.
Partiamo dalla situazione dell’Inter. L’amore tra Stramaccioni, il ragazzo di Roma, e il presidente Moratti è durato giusto un paio di settimane, il tempo di dimostrare che, forse, il palcoscenico della serie A è ancora troppo per lui. E così si parla di Bielsa o Spalletti o addirittura di Prandelli, ct alle prese con un campionato europeo da giocare.
Tutte ipotesi più che suggestive, vien da dire.
Dall’altro lato della Madonnina le cose non sembrano andar meglio. Il Milan è, infatti, alle prese con la grana Allegri. L’allenatore non risulta più essere nelle simpatie del patron rossonero, Silvio Berlusconi. Con un campionato che ha visto la squadra essere prima in classifica per larga parte del torneo ed essere scalzata due domeniche orsono dalla rinata Juventus, con una Champions non certo da ricordare, ecco che nei corridoi torna in auge il nome di un grande ex, Fabio Capello.
La Roma ha dubbi, troppi, su Luis Enrique, allenatore bravo, presuntuosetto, ma forse non pronto per la realtà italiana. I tifosi, intanto, discutono. E qualcuno rivorrebbe addirittura Zeman, allenatore mai dimenticato nella capitale.
Non è detto che Mazzarri resti al Napoli ed è molto probabile che Reja lasci la Lazio. Sentiamo ripetere in continuazione dai rispettivi Presidenti che il risultato non conta, ma alla fine ciò che importa è proprio quello.
Un allenatore conta molto in una squadra, ma non è tutto. Sono pochissimi quelli che possono essere addirittura determinanti. Come non pensare a Josinho, che ha un’interpretazione assolutamente personalistica e totalitaria del ruolo, o Guardiola, ma calato nella realtà tutta particolare del Barcellona. Lo stesso Ferguson.
Insomma, vere leggende della panchina.

E’ pur vero che in questi anni abbiamo trasformato gli allenatori in taumaturghi, siamo tutti convinti del fatto che possano trasformare squadre di mediocri in fenomeni, che con l’imposizione delle mani possano costruire squadre che vincano coppe, scudetti e facciano la storia.
L’unica realtà, la sola, è che la differenza alla fine la fanno sempre e solo loro, i calciatori: l’allenatore è solo un amministratore, più o meno bravo, più o meno influente del loro talento. E’, forse, questa l’idea cui tutti dovremmo tornare a riabituarci.