di Attilio Greco
Credevamo che l’arrivo di Monti alla presidenza del Consiglio avrebbe finalmente dato inizio alla ricostruzione dell’Italia. Pensavamo che fosse giunta l’ora perchè qualcuno avrebbe avuto il coraggio di mettere sul piatto della bilancia non solo tasse ma anche diritti e riforme aventi ad oggetto il lavoro, l’istruzione, la sanità e la libertà economica. C’è chi dice che tali diritti siano troppo spesso compromessi per via della loro natura mutevole e non facilmente identificabile, che dunque essi esistono solo in quanto sussistono determinate condizioni sociali ed economiche in seno allo Stato ed alla sua società. Ma queste dottrine non debbono divenire giustificazioni, perché simili diritti appartengono allo Stato in quanto espressione di interessi collettivi, manifestazione pubblica della dignità di ogni uomo e donna. Nella teoria dello Stato di diritto si è soliti dire che i diritti della sfera individuale interessino prima l’uomo, poi il cittadino. A noi uomini del XXI secolo sembra invece inaudito credere che in uno Stato sociale quale dovrebbe essere l’Italia, di diritti dell’uomo e quelli del cittadino – dello Stato, dell’Europa, del mondo – non siano riconosciuti con pari forza e dignità. Sei mesi fa, con l’uscita di scena di Berlusconi e dei suoi fedelissimi ex dirigenti della Fininvest prestati alla politica, qualcuno pronosticò la fine dell’incubo spread, il ritorno dell’Italia alla democrazia e tante altre belle cose. Alcuni, più scettici forse, chiedevano solo che si tornasse a parlare negli spazi pubblici di economia e legalità, di etica e lavoro. Si invocava il ritorno dell’interesse pubblico al centro della vita del Paese. Sbagliano quanti dicono che gli italiani siano oramai assuefatti agli scandali della politica. Non si contano le decine di mobilitazioni avvenute negli ultimi anni per chiedere il rispetto della libertà di stampa o delle donne, i numerosi scioperi a tutela dei lavoratori, gli appelli all’unità nazionale. Come non ci si abitua al dolore, lo stesso vale per la puzza del malaffare. Semplicemente gli italiani chiedono una tregua, che per una volta non sia una showgirl argentina con la sua farfallina tatuata a monopolizzare l’attenzione di stampa e televisioni. Si chiede di farci vedere, finalmente, dove vadano i soldi dei contribuenti, quali sono le facce di chi evade e di chi compie il suo dovere. Alla fine, chiedevamo solo questo, non una bacchetta magica secretata nella presidenza della Bocconi.
Nessuno si era illuso che i partiti, oltre ad abbeverarsi alla fresca fonte del finaziamento pubblico, volessero recuperare anche un briciolo di dignità e rispetto agli occhi dei loro elettori. In tanti si erano illusi che si fossero acquietati un po’, che avessero almeno avuto la decenza di aspettare un altro momento per rubare e farsi indagare. Magari quando la pressione fiscale rispetto al reddito sarebbe scesa dall’attuale 48%, oppure quando gli stipendi, finalmente, sarebbero stati adeguati all’inflazione, modificando dunque l’attuale e vergognoso sistema di accordo per il rinnovo contrattuale coi sindacati. Pensavamo che avremmo visto ben altre immagini in fatto di politica estera, magari con un ministro repubblicano intento a discutere di importanti questioni internazionali con la rispettiva controparte, anziché vedere un Capo di Governo genuflettersi in territorio italiano per baciare la mano lorda di sangue di un dittatore africano da burlesca – si legga bene, da burlesca, non da burlesque – peraltro finito in tragedia.
Purtroppo, come tutti sanno, al peggio non c’è mai fine. E quindi oltre a doverci rassegnare all’idea che dieci anni di assoluta immobilità politica ed economica non siano recuperabili in poche settimane, ora dobbiamo anche subire il prepotente ritorno della politica e dei suoi rappresentanti: indagini, scandali, prostitute e soldi, tutto come ai bei vecchi tempi, cioè da vent’anni e più a questa parte. Diciamoci la verità, nessuno si è meravigliato nel sapere che probabilmente negli ultimi anni la Lega Nord sia stata protagonista non solo della scena politica, ma anche di ruberie, crac bancari e finanziari e truffe sulle quote latte, oltre a storie di dossieraggio in salsa Belsito. I leghisti hanno dimostrato in questo caso di essere anche loro italiani, tanto quanto i “porci romani”.
In questi giorni, oltre ai sempre grigi e deprimenti rapporti Istat, dobbiamo anche sorbirci le intercettazioni telefoniche di Papi Silvio e delle Olgettine, rese pubbliche perché agli atti e dunque consultabili da chiunque, checché ne dicano Ghedini e compagnia cantante. All’inizio il Cavaliere disse a reti unificate che nell’intimità di casa sua si consumavano solo cene eleganti e degne del loro nome, rigettando al mittente le accuse di favoreggiamento della prostituzione. Chi non ricorda quel momento, quando su quattro reti televisive nazionali compariva solo un furibondo Berlusconi, libero di lanciarsi in un infiammato monologo politico e giudiziario in sua difesa, durato venti minuti e privo di qualsivoglia voce contraria che gli contestasse alcunchè? Roba che neanche Breznev avrebbe potuto concepire negli anni d’oro della censura sovietica. Pochi mesi dopo quell’appassionata autodifesa e a processo iniziato, la versione cambia e dalle cene si passa direttamente al dopo cena. Berlusconi deve ammettere, davanti alle accuse e alle prove contestategli dai giudici, che in effetti il “bunga bunga” non è solo ascoltare la melodiosa voce di Apicella, ma era sopratutto un momento ludico e sportivo, durante il quale le sue commensali davano vita ad accanite competizioni agonistiche di burlesque. E dire che la maggior parte di noialtri alla sera si diletta ancora in banali giochi di società con gli amici. Il solito provincialismo all’italiana. Nell’attesa che il burlesque diventi dunque anche disciplina olimpica riconosciuta dal CIO, c’è pure una risposta ai soldi donati dal Cavaliere a queste giovani atlete: dal momento che queste povere ragazze rischiano la dignità e la salute mentale per via di indagini confezionate ad arte da giudici politicizzati, allora lui è moralmente tenuto ad intervenire per ad aiutarle, per via della sua mai troppo decantata generosità. Del resto, secondo la tesi della difesa di Berlusconi, le ragazze dell’Olgettina sarebbero colpevoli unicamente di essere vittime del solito esibizionismo femminile, mica di prostituzione. Di sicuro c’è che Ruby e le altre non sarebbero state le uniche ad attingere al ricco istituto previdenziale di Arcore, visto e considerato che anche il “faccendiere del quartierino” Lavitola, latitante per sei mesi a Panama ed accusato di corruzione internazionale e appropriazione indebita di denaro pubblico, pare abbia tratto vantaggi proprio dalla disponibilità economica e morale dell’ex Presidente del Consiglio. L’ex direttore dell’Avanti, infatti, pare sia stato sul punto di realizzare la più grande plusvalenza che l’Italia abbia mai visto quando dopo aver prestato un milione di euro all’imprenditore Tarantini, iscritto a sua volta nel registro degli indagati per sfruttamento della prostituzione, sembra abbia poi chiesto a Berlusconi non solo di restituire a nome di quest’ultimo il milioncino, ma di aggiungerne anche altri quattro, perché in debito di un non meglio precisato favore. E pensare che qualcuno parla oggi di crisi di liquidità e di credit crunch. In verità va anche detto che i magistrati contestano a Lavitola che quei soldi, più che a titolo di favore, sarebbero stati chiesti a titolo di estorsione proprio ai danni di Berlusconi. Ma tant’è, pecunia non olet. E pazienza se l’estorsione è un reato penale mentre la gentilezza no. Sentire un ex Presidente del Consiglio chiamato “Amò” da una donna dominicana invischiata in una brutta vicenda di droga, fa sinceramente male al cuore. Sapere inoltre che le giovani commensali si guadagnavano il pane quotidiano a forza di “cene eleganti” è deprimente. Pensare che queste povere orfanelle e parenti di rais deceduti abbiano un tetto dove dormire generosamente offerto dal potente di turno, quando decine di migliaia di persone ancora vivono in baracche come rivelato dall’Istat, è frustrante. Quello che chiediamo non è che qualcuno ci recapiti gentilmente a casa una busta della spesa direttamente dal Parlamento, piena di prodotti alimentari pagati dai contribuenti. E non è neanche un CD di Apicella imbottito di soldi. Chiediamo solo che si parli dell’Italia e dei suoi innumerevoli problemi, probabilmente anche più numerosi delle già infinite vie del Signore. Vogliamo che ci venga restituita la titolarità dei nostri diritti sociali e soprattutto politici. A noi dell’antipolitica o della politica del fare, in tutte le sue salse, da quella aziendalista a quella del farsi le mignotte, poco importa.
P.S. E’ inutile chiedere a Berlusconi di dimettersi da ogni carica pubblica. Dopo vent’anni, forse, sarebbe ora di rivolgersi direttamente a quelli che il Cavaliere lo piazzano sistematicamente a ogni tornata elettorale sulla poltrona, chiedendo loro chi di farsi un po’ più furbi, magari non come quelli famosi “del quartierino”, ma come persone interessate a vivere in un Paese civile. Tra un anno vi saranno le elezioni legislative. Ne va del nostro futuro.