di Francesco Astarita
Ana Ferreira è l’emblema dell’ottimismo: ha ventisei anni, arriva dalle Azzorre e da circa quattro anni vive in Africa. Prima in Angola, oggi in Mozambico. Non è una volontaria, ma una dipendente retribuita dell’ufficio risorse umane di una multinazionale. “Se penso ai miei amici in Portogallo, che vivono di sussidi e di qualche lavoretto a tempo determinato mentre completano i corsi di dottorato o postlaurea, mi rendo conto che sono sradicati dalla vita reale. Io vivo a Maputo, le cose mi vanno bene e sto facendo anche progressi con la carriera. Perché mai dovrei tornare?”
Gonçalo Jorge, un dirigente marketing di 28 anni di Lisbona, ha lottato per sconfiggere la frustrazione. Dopo essersi laureato, infatti, ha ottenuto un posto in un’azienda di trasporti pubblici. “Volevo fare grandi cose, ma per me c’era soltanto un’occupazione a basso stipendio”, dice. Quando finalmente ha trovato una possibilità interessante presso un’azienda privata, il problema è stato il contratto a termine. Così si è trasferito in Angola e oggi è responsabile per l’intera nazione di un produttore portoghese di vino. E non solo: guadagna il quadruplo di quanto prendeva in Portogallo.
Quelli che in Europa sono diventati superflui – ingegneri, architetti, muratori – in Africa e in Sudamerica sono accolti a braccia aperte. Il Brasile è in ottica mondiali di calcio del 2014 e giochi olimpici del 2016. Per i progetti pubblici, e per altre iniziative di grande rilevanza nel settore energia, si stanno assumendo molti ingegneri e architetti. L’anno scorso l’economia brasiliana è cresciuta quasi del 3 per cento, mentre quella argentina dell’8 per cento. In Brasile la disoccupazione è al 7 per cento, tre volte meno che in Spagna.
Ricca di petrolio, diamanti e altre risorse naturali, l’Angola è oggi uno dei paesi dalla crescita più rapida al mondo. Il suo prodotto interno lordo cresce circa del 15 per cento. In tutto il paese sono attive ben tremila aziende portoghesi, che costruiscono strade, ponti, grattacieli, ferrovie, oleodotti. Dopo trent’anni di guerra civile, conclusasi dieci anni fa, l’Angola si è ritrovata devastata e a corto di esperti, mentre il Portogallo soffre di un’eccedenza di manodopera specializzata.
Se in Angola i portoghesi si sentono a casa propria, in Brasile è ancora più facile per loro adattarsi alla vita locale. Stima l’Observatório da Imigração di Lisbona, i portoghesi in Brasile sono circa 700 mila. “L’emigrante tipico è un uomo sui 25-35 anni. Spesso ingegnere, architetto o professionista nell’ambito dell’IT” dice Marta López-Tappero, esperta di mobilità internazionale per Adecco. “In sintesi, si tratta di un giovane desideroso di nuove esperienze e nuove sfide”.
“Invasione europea”, “Neocolonizzazione”, “Nuovo Eldorado”: concetti che sono familiari ma probabilmente umilianti per un europeo. “No, non c’è motivo di parlare di una nuova forma di colonizzazione”, dice Góis, “In realtà stiamo assistendo alla nascita di una nuova classe globale di migranti che non si stabilirà mai qui in modo permanente. Prima o poi farà ritorno a casa propria o si sposterà in un altro paese ancora, dove l’offerta sarà migliore”.
Pare il caso di dire, però, che probabilmente l’inversione del flusso migratorio è il risultato di cambiamenti molto più profondi in atto nel nostro mondo. A quanto pare, e non sembra essere pià una novità, l’equilibrio occidente/resto del mondo – o, meglio, tra nord e sud del pianeta – sta decisamente cambiando.