“Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto. Sul fiordo neroazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.
Questo è quanto spiegano le parole autografe di Edvard Munch in una pagina del suo diario datata 22 gennaio 1892. Solo l’anno dopo, alle parole saranno restituiti i colori in una delle maggiori icone nella storia dell’arte di sempre: “L’urlo” – in norvegese “Skrik”. L’artista norvegese, però, non ci ha lasciato solo una versione del quadro, ma ben quattro (che vanno dal 1893 al 1910), di cui tre sconservate in ottime condizioni al Museo Munch di Oslo e una soltanto era fino a pochi giorni fa nelle mani di un privato: Peter Olsen. Figlio di Thomas Olsen, un amico dello stesso Munch, Peter manda il mondo in fibrillazione quando dichiara di voler vendere la sua versione del 1895. Il 2 Maggio 2012, così, in meno di dodici minuti, la versione di Olsen è venduta dalla casa d’aste inglese Sotheby’s. Il quadro è battuto sotto gli occhi di un pubblico incredulo. Sette i potenziali acquirenti, su cui domina alla fine l’attuale proprietario del quadro, il cui nome resta misterioso, in quanto non presente fisicamente all’asta ma soltanto telefonicamente. La cifra, partita da una stima iniziale di 80 milioni di dollari, lievita al numero esorbitante di 119.922.500 dollari.
Chissà come la prenderebbe Munch se sapesse che, a centoventitrè anni di distanza dalla realizzazione, la sua opera è diventata regina indiscussa nel campo delle opere vendute all’asta, raggiungendo un record mondiale e superando “Nudo, foglie verdi e busto” di Picasso, venduto nel 2010 per 106,5 milioni di dollari.
Forse non era questa l’aspirazione di Munch, il cui crudo Espressionismo era destinato alla “società dell’angoscia” e non a quella del milione.
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