Già alla sua prima rappresentazione, nel Febbraio del 1896, l’opera di Giacomo Puccini “La Bohème” riscosse un notevole successo tra il pubblico e oggi al Teatro San Carlo, nel cuore culturale della città, è possibile vivere un’esperienza fuori dall’ordinario: dopo il grande successo della “Tosca” nella passata stagione, infatti, il San Carlo riporta in scena il grande compositore italiano.
Maestose scenografie per i quattro quadri che sono come una discesa verso la finale tragedia, un giovanissimo direttore d’orchestra italiano (Andrea Battistoni) e tutta la magia dell’opera nel più antico teatro d’Europa.
La storia, seppur ben conosciuta è sempre fonte di grandi emozioni e la rappresentazione punta diritto all’anima dello spettatore che in meno di tre ore viene condotto dalle dolci note di un giovane amor a quelle amare di una morte ingiusta e precoce. Il primo quadro, di carattere lieto, si apre con la famosa soffitta dove, seppur nella miseria, vivono spensierati i giovani artisti della Parigi del 1830 e si conclude con il canto d’amore di Rodolfo e Mimì. “Tu sol comandi, amor!” cantano i due innamorati, presi e persi nel loro sogno d’amore che ben presto però, dopo un secondo quadro movimentato dalla figura di Musetta, dovrà fare i conti con la nuda e cruda realtà di un inverno troppo freddo. Rodolfo, preoccupato per la salute cagionevole di Mimì, seppur amandola “sovra ogni cosa al mondo” finge di essere folle di gelosia per presunte civetterie della giovane pur di separarsi da lei permettendole così di vivere accudita in miglior modo. Ma l’amore non è facile all’abbandono e così il penultimo quadro si conclude con la comune decisione dei due amanti: “Ci lasceremo alla stagion dei fior!”
Il quarto quadro sembra all’apparenza un richiamo alla gaiezza del primo, Rodolfo e Marcello sono intenti nel loro lavoro, felici di essere soli e senza le donne cause dei loro dolori ma la realtà è ben diversa: entrambi soffrono terribilmente le pene d’amore. Solo per un attimo, con l’arrivo di Colline e Schaunard, l’ambiente é riscaldato da giochi e scherzi che però, come il passionale amore tra i protagonisti, sono destinati ad avere vita breve. Celebre e terribile la rappresentazione di Mimì distesa sul letto, oramai morente, che dopo essersi ricongiunta al suo amato ricordando i tempi spensierati insieme, si spegne tra gli sguardi degli amici. Strazianti e simile ad un urlo, non supportate quasi da nessuna musica, le parole angosciate di Rodolfo quando si accorge che Mimì è ormai morta.
Schaunard si abbandona accasciato su di una sedia a sinistra della scena.
Colline va ai piedi del letto, rimanendo atterrito per la rapidità della catastrofe.
Marcello singhiozza, volgendo le spalle al proscenio.”
L’opera è come la poesia. Diretta, profonda e conturbante. I librettisti Giuseppe Giocosa e Luigi Illica che collaborarono con Puccini anche per “Tosca” e “Madama Butterfly” (Illica lo ricordiamo anche per il commovente “Andrea Chénier” di Giordano) sono i poeti di questo capolavoro riusciti ad esprimere in parole la musica del compositore.
Poesia in musica, poesia rappresentata. L’opera è una delle più grandi ed alte rappresentazioni dell’arte proprio per questo suo connubio tra i tre generi e “La Bohéme” incarna sicuramente la sua perfezione.
Un invito ad avvicinarsi a un mondo di bellezza, di giovinezza e di alti ideali in anni in cui l’arte stessa e la cultura sembrano essere state abbandonate. Un invito ad essere come il filosofo Colline, il musicista Schaunard, il pittore Marcello e il poeta Rodolfo che in povertà conducono la vita ma che “per sogni e per chimere, e per castelli in aria” l’anima hanno milionaria.