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“God Save the Queen”: lo scomodo manifesto del punk compie gli anni

di Giacomo Palombino

Il prossimo Giugno, la Regina Elisabetta II festeggerà, insieme ai suoi sudditi, il Giubileo di Diamante, celebrazione dovuta ai sessant’anni del suo regno. È un evento storico, un momento di gioia e riconciliazione per tutti i cittadini inglesi e non solo.
In realtà, il 27 Maggio di trentacinque anni fa il popolo britannico assisteva ad un altro evento, ad un momento che, in qualche modo, merita anch’esso di essere ricordato: definiamolo anche una ricorrenza alternativa, se vogliamo antagonista rispetto a quella riguardante la corona.
In quel non troppo lontano 1977, infatti, durante il Giubileo d’Argento della stessa regina, veniva pubblicato il secondo singolo dei Sex Pistols, intitolato “God Save the Queen”. Chiara parodia dell’inno celebrativo dei re e delle regine inglesi, evidente provocazione alla non sempre amata Elisabetta, il brano fu una vera rivoluzione: un grido, cattivo e sincero, finalizzato a schernire il più noto fra i personaggi inglesi, proprio nel momento in cui un intero popolo si accingeva a festeggiarlo.
Quella fu qualcosa di più di una semplice canzone: fu il manifesto del punk, la prima volta (e se non la prima, sicuramente la più sconvolgente) che un affronto alla corona veniva diffuso in maniera così ampia. La cosa straordinaria, infatti, non fu tanto la provocazione di per sé, quanto la risposta degli inglesi alla stessa. Il singolo scalò tutte le classifiche, fermandosi al secondo posto di quella ufficiale “UK Singles Chart”. Secondo alcuni, in realtà, la posizione occupata dai Sex Pistols sarebbe stata la prima. La band venne in qualche modo incastrata, fermata al secondo posto, a causa di vari episodi: la BBC bandì il brano dalle sue radio; l’ “Independent Broadcasting Authority” ne proibì la messa in onda sui canali televisivi; molti negozi di dischi, che secondo alcuni erano proprio quelli che fornivano i dati per le classifiche nazionali, decisero di non vendere il pezzo. Insomma, un boicottaggio a tutti gli effetti è quello che viene raccontato da molti cronisti.
Il dato di fatto, quello che possiamo confermare, è che i Sex Pistols mandarono su tutte le furie la povera Elisabetta: chi sarebbe stato felice nel vedersi ritrarre come un “fascista” a causa del quale “non c’è futuro nel sogno dell’Inghilterra”? E non finisce qui: la band ebbe il gentile pensiero di dedicare la canzone a Sua Maestà passando lungo il Tamigi, all’altezza di Westminster, a bordo di un traghetto. Le forze dell’ordine riuscirono però a bloccarli, dando vita ad una rissa e a ben undici arresti.
Non dimentichiamo di sottolineare che l’idea di dare vita a questa sconvolgente e per qualcuno imbarazzante provocazione fu in realtà opera di un personaggio che lavorava, in qualche modo, in seconda linea: questo era il manager della band Malcolm McLaren. “Non era un’opera studiata a tavolino per il Giubileo” disse successivamente Paul Cook. È importante ricordare questo, perché, se non vi era l’intento della band di scioccare il Regno Unito, al contrario McLaren aveva le idee ben chiare: basti pensare che il titolo originale del pezzo era “No future”, successivamente modificato.
Nel dare i nostri migliori auguri alla Regina, troppo spesso ritratta in maniera equivoca, vista come un personaggio in bilico tra l’amore di alcuni e l’odio di altri (come nel film “The Queen”, egregiamente interpretato da Helen Mirren), ricordiamo anche quest’altra ricorrenza: quella che vede come protagonisti dei sudditi insoddisfatti, a tratti violenti e meschini, ma che hanno tirato fuori l’anima più cruda e sfrenata del rock. Tanti auguri ai Sex Pistols, la scomoda band che inventò il punk.

“Non si scrive una canzone come God Save the Queen perché si odiano gli inglesi.
Si scrive una canzone come questa perché si amano e si è stanchi di vederli maltrattati”
(Jhonny Rotten, voce dei Sex Pistols)