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“Ecovanavoce”: Urciuolo e Ferracane portano sullo schermo le rovine dell’anima

di Roberto P. Ormanni

“L’orrore del reale è nulla contro l’idea dell’orrore”, è con questa citazione del “Macbeth” che si apre “Ecovanavoce”, il nuovo mediometraggio diretto da Tommaso Urciuolo. Ed è in questo frammento shakespeariano che si potrebbe ritrovare tutto il senso della pellicola indipendente.
Il film (che è stato trasmesso agli inizi di maggio su Coming Soon Television) è un percorso d’inquietudine, un viaggio tra i fantasmi che il protagonista si trova a compiere quando si sveglia in un luogo misterioso senza ricordare niente. Nessun rapimento, nessun gioco, nessuna tortura, solo una caduta improvvisa e inspiegabile nell’ignoto inquieto. “Il nostro personaggio – spiega il giovane regista Urciuolo – vede e sente voci, oggetti e persone, come frammenti di una vita passata, che adesso gli sfugge. E’ solo l’inizio della sua discesa verso gli inferi nella quale, oltre a recuperare in maniera confusa i ricordi, dovrà soprattutto ancorarsi saldamente alla propria sanità mentale e fare in modo che la follia e il terrore non si impadroniscano di lui”.
“Ecovanavoce”, scritto da Marco Sommella, segue così l’angoscia di un uomo, interpretato con mestiere da Fabrizio Ferracane, senza l’utilizzo di parole o dialoghi. Girato nelle suggestive città fantasma in provincia di Benevento, Tocco Caudio e Paduli, tutto è affidato al paesaggio, unica proiezione dello stato d’animo che permea il protagonista. “Abbiamo scelto questi luoghi – spiega lo sceneggiatore Sommella – per descrivere la solitudine e l’assenza di speranza che si ripete all’infinito. Sensazioni che abbiamo cercato di trasmettere anche attraverso la scelta del titolo del film: Ecovanavoce è un palindromo e in queste parole si racchiude la vera essenza del nostro lavoro. Un’eco di una voce vana”.
Lo spettatore sembra essere catturato in una gabbia asfissiante, silenziosa. E mentre in sottofondo risuonano soltanto le musiche del compositore pluripremiato Adriano Aponte, i lunghi piani sequenza di Urciuolo camminano tra le macerie dell’anima del protagonista.
In “Ecovanavoce” nulla è chiaro, niente viene spiegato, tutto è lasciato alla sensazione interiore di chi guarda. La rovina è imprigionata in un’eco di una voce solitaria, che esplora l’idea dell’orrore.