TRAMA: Lucas (Mads Mikkelsen), quarantenne rinato a nuova vita dopo il divorzio grazie a una nuova ragazza, un nuovo lavoro come maestro elementare e la ricostruzione del rapporto col figlio adolescente Marcus (Lasse Fogelstrom), vede la sua esistenza compromessa e sconvolta dalla menzogna che per puerile malizia una delle sue piccole alunne, Klara (Annika Wedderkopp), figlia del suo miglior amico Theo (Thomas Bo Larsen), rivela alla direttrice della scuola (Susse Wold): cioè, di aver subito da lui un abuso sessuale. Ovviamente tutti credono alla bambina, così il finto pettegolezzo si sparge in tutto il paese come un virus, la bugia diventa una terribile verità per tutta la comunità che dunque isola e distrugge Lucas, incapace di difendere e provare la propria innocenza, che a poco alla volta si vede privare di tutto, lavoro, amici, amore, libertà, perfino la dignità, in nome di questa diffamante diceria.
GIUDIZIO: Se il cinema si prefigura come voce (o meglio immagine) della verità, e al tempo stesso essere finzione, ecco il film di Thomas Vintenberg è il cinema, una straordinaria lezione di cinema: come raccontare una storia sul peso di questa grande cosa chiamata verità, il suo limite, la sua invisibilità, il rapporto tra vero e falso, e anche tra colpa e innocenza. Allegoria in forma di favola nera, nerissima, dei nostri tempi dove con un clic una notizia fa il giro del mondo, vera o falsa che sia, resta vera: diffamazioni all’ordine del giorno (casi Michael Jackson, Murdoch, Strauss Kahn), in cui la verità sta nel mezzo (stampa). Tanto ricco è questo film di contenuti, riflessioni, idee, messe in scena in modo secco, ma mai freddo, mai distante, sempre vicino, attaccato al protagonista – un immenso Mads Mikkelsen, premiato come miglior attore a Cannes – per seguire la dinamica e la logica di una psicologia in caduta libera: da rispettabile, rispettato borghese, bravo nel lavoro come nei rapporti sociali, Lucas senza cambiare diventa mostro, pedofilo, paria e diavolo, interdetto da tutti i luoghi, evitato da tutti come un lebbroso, tutti che non sono disposti a indagare: il pettegolezzo, la menzogna sono più forti di qualsiasi verità. Parabola kafkiana brillante nella sua recondita ironia nera, emozionante nel suo estremo paradosso, dove l’uomo è l’accusato di un crimine inventato, vittima di un processo basato sul gioco di una bambina fantasiosa e sul passaparola, e in cui pertanto non serve essere innocenti: la colpa è universale, unita all’anima e al nome come una pelle, un marchio. La metamorfosi, con tanto di emarginazione e discriminazione, è totale e immediata come quella dell’eroe di Kafka in scarafaggio. La giustizia, la verità sono inaccessibili, inutili utopie per l’individuo, come ancora la verità e l’innocenza lo sono per il miope popolino, sensibile al pettegolezzo e allo scandalo. Peggio, la menzogna è così una peste, un’epidemia che tutti ammala, un’onda che tutto immerge e tutto distrugge. Thomas Vinterberg fa sua la lezione di Fritz Lang, estirpando ed elaborando i temi cari al regista austriaco come la colpa e l’innocenza, la relatività della giustizia e i limiti della verità, la fatalità ineluttabile del destino e l’idiota matematica del caso (in particolare “Furia”, “Sono innocente”, “L’alibi era perfetto”, ma anche “M – Il mostro di Dusseldorf” dove il protagonista è per davvero mostro pedofilo reo confesso, ma viene giudicato e condannato “ingiustamente” dal popolino), o di un altro cineasta austriaco, Michael Haneke, che ne “Il nastro bianco” esplorava la cecità e la crudeltà degli abitanti di un villaggio, tutti moralisti, tutti ipocriti e colpevoli: lì davvero una violenza infantile veniva commessa, ma per una diversa malvagità la verità veniva poi nascosta. Il povero Lucas non è mai stato cattivo, non ha mai commesso del male: il suo, come il nostro, è un peccato originale, lo si paga con la condanna senza appello alla solitudine, al dolore e al disprezzo. “Jagten” in danese significa caccia (“The Hunt” è infatti il titolo inglese, vedremo in Italia come sarà tradotto): la caccia è quella al mostro, colpito negli affetti e nel profondo, nell’anima e nella mente, steso e stroncato come un cervo libero e innocente, è la caccia che il protagonista persegue come hobby che poi inculca al figlio, in un finale che dice tutto. Grande cinema dalla Danimarca, la Palma d’oro del cuore.
VOTO: 4/5
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