di Branda Improta
“Mi sento così rilassato, oggi.
Così in pace con me stesso.
Soddisfatto e senza pensieri.
Cos’ho che non va?”
(W. Allen)
1990/1999
Gli anni novanta sono sicuramente i più vari per Woody Allen: alterna film comici o musicali ad altri più profondi, interpreta un gran numero di pellicole di cui non è autore, si dedica molto alla sua passione per la musica, frequentando numerosi concerti insieme alla sua jazz band.
Sono anche gli anni dello scandalo che lo coinvolgerà insieme a Mia Farrow e alla sua figlia adottiva, sul quale però è inutile soffermarsi, perché nulla toglie o aggiunge all’incredibile fantasia e vena artistica di questo personaggio.
Nel 1990 e 1991 Allen gira due film che possono essere considerati fra i suoi peggiori: il primo, nel quale non recita, è “Alice”, omaggio alla “Giulietta degli spiriti” di Fellini e alla ben più famosa Alice di Lewis Carroll. Il film, interpretato da Mia Farrow, William Hurt e Alec Baldwin, ha molte componenti fantastiche (la protagonista si rende invisibile per scoprire cosa pensando di lei amiche e marito) ma risente dello stesso difetto dei film del regista con la sua compagna d’allora: una grande lentezza, pochezza nei dialoghi (di solito il suo punto di forza) e una storia che stenta a decollare. Il secondo, “Ombre e nebbia”, ha in potenza una delle storie più simpatiche mai scritte da Allen: lui è un insignificante impiegato che si ritrova a dover combattere con un serial killer strangolatore; peccato che Allen si perda qui fra mille citazioni senza mai trovare le corde giuste, incerto sulla piega che deve prendere la storia, fra commedia romantica e dramma, con una fotografia (in bianco e nero) che omaggia Murneau e il suo mostro di Dusseldorf, Browning e i suoi Freaks, e scene che passano da Bergman a Fellini passando per “Cul de sac” (di cui sfrutta anche l’ottimo interprete Donald Pleasence).
Insomma due passi falsi, anche dal punto di vista commerciale, che spingono Allen a prendersi una vacanza dalla regia, accettando di interpretare soltanto !Storia di amori e infedeltà” di Paul Mazursky, una commedia romantica abbastanza divertente, pur non essendo molto originale.
Nel 1993 Allen gira un altro gioiello di comicità: “Misterioso omicidio a Manhattan”, una commedia gialla, dove l’intreccio mistery funziona da pretesto per raccontare ancora una volta, con grande ironia, i rapporti fra coppie in crisi, riunendosi con Diane Keaton per l’ultima volta (almeno sino ad oggi) e innestando nel film Alan Alda, nel ruolo del terzo incomodo. Il ritmo della pellicola è scatenato, con picchi di ilarità quando viene ritrovato il cadavere che darà inizio alla vicenda. Un vero e proprio ritorno alla comicità pura delle origini, caratterizzato anche da una colonna sonora a ritmo di jazz e blues molto vivace.
Nel 1994, Woody Allen gira ben due film: “Pallottole su Broadway”, del quale è solo autore e in cui passa la palla di protagonista a John Cusack, e il televisivo “Don’t Drink the Water”, tratto da un suo vecchio spettacolo teatrale, e in cui divide la scena con Michael J. Fox.
Il primo dei due è un’altra chicca della sua filmografia, candidato a ben sette premi Oscar, di cui vincerà quello per la miglior interpretazione femminale (una straordinaria Dianne Wiest), una commedia ambientata negli anni venti, in cui si fa ironia del mondo della mafia americana e dei loro coinvolgimenti nel settore dello spettacolo. Il 1995, invece, è segnato da un altro ritorno alla comicità pura (e stavolta anche leggermente triviale) con “La dea dell’amore”, una commedia allegra e divertente, in cui Allen è un padre adottivo ossessionato dalla volontà di scoprire chi sia la vera madre di suo figlio. La troverà e si rivelerà essere una porno diva con tutti gli equivoci del caso. Il film procura un altro Oscar alla sua partner femminile del momento, Mira Sorvino. Particolarità geniale della storia, è quella di essere raccontata da un esilarante “coro greco” che si materializza sotto forma di muse e dei, che ogni tanto appaiono per dare consigli al protagonista.
Nello stesso anno, Woody forma una divertente coppia comica insieme a Peter Falk (il tenente Colombo) nel remake dei “Ragazzi irresistibili”, in cui è diretto da John Erman. Il film, abbastanza riuscito, rappresenta uno dei rari casi in cui Oreste Lionello non doppia l’attore, venendo qui sostituito da Giorgio Lopez. Nel 1996, Allen si dedica ad un film musicale, omaggio ai fratelli Marx: “Tutti dicono I Love You”, dove dimostra di saper padroneggiare bene dei momenti cantati, alternandoli ai soliti dialoghi brillanti e alle riflessioni sui rapporti di coppia (ma si tratta comunque prevalentemente di una commedia). Nello stesso anno, insieme col suo gruppo, la New Orleans Jazz Band, e alla sua compagna, Soon-Yi Previn, Allen parte per l’Europa per un grande tour musicale; il tour sarà al centro del documentario diretto da Barbara Kopple: “Wild Man Blues”, in cui per la prima volta si analizza la figura di Woody Allen come musicista e non come attore/regista. Il 1997 vede Allen impegnato, ancora nelle doppie vesti di autore e attore, in “Harry a pezzi”, una commedia dalla forte componente autobiografica, dove il protagonista si ritrova ed è raccontato dai personaggi che affollano i suoi romanzi, spezzettando appunto la sua personalità e non dando mai un quadro completo della sua anima (cosa resa anche dalla volontà del regista, di spezzettare il montaggio, inserendo dei salti di pellicola e ripetizioni di piccole sequenze). Il film, geniale dal punto di vista della sceneggiatura, riceverà appunto una nomination all’Oscar in quella categoria.
Nel 1998, Allen torna a recitare in un film non suo: “Gli imbroglioni”, diretto da Stanley Tucci, in cui appare nelle vesti di una spia (per pochi minuti in realtà).
Nello stesso anno riunisce un cast stellare per “Celebrity”, ambientato nel mondo della moda e dello spettacolo, dei vizi e della trasgressione, in cui cede la palma del protagonista ad un ottimo Kenneth Branagh. Nonostante le buone interpretazioni, il film non è però uno dei più riusciti di Allen, nonostante una regia accurata e una bella fotografia in bianco e nero, il film si perde proprio nella storia e nel ritmo, nonché nella disadeguatezza di alcuni personaggi, troppo smaccatamente irreali.
Chiude il decennio, un ritorno allo stile finto-documentaristico di Zelig: “Accordi e disaccordi”. Il film segue la (finta) vita di Emmet Ray (interpretato da Sean Penn), chitarrista donnaiolo e ubriacone, ossessionato dall’idea di essere solo il secondo chitarrista più bravo al mondo, dietro Django Reinhardt. Il film è una commedia ben girata, dove il mondo della musica è ben ricostruito, così come la psicologia del personaggio, combattuto fra il suo odio e amore per il collega Reinhardt.
Woody Allen si ritaglia un personaggio anche qui, e mai personaggio gli riuscì meglio d’interpretare, visto che si tratta di sé stesso.