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La maschera della verità

di Giacomo Palombino

“Quando mi ponevo davanti a uno specchio,
avveniva come un arresto in me;
ogni spontaneità era finita,
ogni mio gesto appariva a me stesso
fittizio o rifatto”
(Luigi Pirandello, “Uno, nessuno centomila”)

La citazione riportata riassume in maniera chiara e geniale l’idea di fondo che sta alla base di questo articolo: l’uomo non è altro che una rappresentazione di se stesso moltiplicata migliaia di volte di fronte agli occhi di chi lo osserva. Pirandello infatti insegna, nella sua celebre opera “Uno, nessuno centomila”, che il singolo individuo vive nella società non in un’unica forma, bensì sotto centomila forme, le quali finiscono con il distruggere lo stesso, rendendolo nessuno.
Questa realtà è comune a tutti, perché tutti inevitabilmente siamo costretti a vivere e, perché no, a sopravvivere indossando maschere che a volta scegliamo noi stessi, e che altre volte sono gli altri a scegliere per noi.
Se tutto questo è vero per chi conduce una vita “normale”, per chi vive un quotidiano degno di questo nome, è ancora più vero per chi ricopre una posizione che gli permette di apparire sotto i grandi riflettori della stampa e della televisione. Quante volte capita di assistere allo sketch di un comico e poi dubitare della sua simpatia nella vita di tutti i giorni? Insomma, quante volte capita di dubitare di un personaggio celebre, di una sua qualità o di un aspetto del suo carattere che non riusciamo a reputare del tutto vero, spontaneo, sincero?
Tutto questo riassume la condizione dell’artista medio: un individuo che può presentarsi su qualunque palcoscenico, dire o fare quello che vuole, essere chi desidera essere, vivendo nella sicurezza più assoluta che tutti i suoi fan gli crederanno, o almeno proveranno a farlo. Si tratta di un tacito accordo, finalizzato a creare un collegamento tra celebrità e pubblico basato sulla menzogna. Nessuno ci assicura che Bono Vox sia veramente un grande sostenitore della pace nel mondo. Nessuno ci assicura che Hendrix amasse la sua chioma di capelli o che Jagger non sia stufo del suo modo di muoversi dal vivo. Nessuno, in quanto tutti hanno un’idea ben precisa e consolidata riguardo celebri figure che non cambierà mai, almeno fino a prova contraria.
L’approccio a questo tema può essere ancora più pratico, meno astratto e molto più concreto. Negli anni Settanta, infatti, cominciava a prendere piede in Inghilterra e negli Stati Uniti il “glam rock”, genere musicale che deriva il suo nome dall’abbigliamento Glamour, caratterizzato da colori vistosi ed appariscenti. Questa sigla denota una famiglia molto vasta e variegata, all’interno della quale tanti nomi possono essere ricompresi: dai Queen ai Kiss, da David Bowie ai New York Dolls. Artisti a tratti vicinissimi tra loro e a tratti lontani anni luce, accomunati però dallo stesso modo di concepire la musica, dallo stesso modo di presentarsi, di apparire; artisti che hanno dimostrato di voler trasformare i grandi palcoscenici in maestose rappresentazioni che uniscono insieme musica e teatro, palcoscenici dove tutto sembra lasciare spazio ad una dimensione surreale, finta, inesistente. Alcuni si sono spinti addirittura al punto da nascondere quasi del tutto i loro volti dietro un trucco esageratamente vistoso ed ingombrante, dando poi vita a varie evoluzioni, privando addirittura il pubblico di qualunque percezione visiva delle persone che si esibiscono: basti pensare agli Slipknot, gruppo metal statunitense formatosi negli anni Novanta, i cui componenti sono soliti suonare dal vivo indossando delle maschere.
Questo modo di esibirsi, questo modo di “apparire” è suscettibile di critiche (ricordo per esempio quella degli italiani Linea 77 nei confronti della band americana per ultimo ricordata). In realtà bisogna accettare in maniera positiva queste forme di espressione. La finzione, la teatralità, sono componenti proprie dell’arte della musica, sono insite nella stessa, inevitabili. Se allora si rintraccia un modo adatto ad esprimere in maniera più immediata il proprio modo di essere tramite una maschera, vale la pena provare, perché forse riuscirà una comunicazione ancora più vera e sincera di quello che pensiamo. In fondo, dietro quel po’ di trucco e quegli ammassi di plastica, anche gli artisti sono tutti uguali. Sono tutti nessuno.