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Tra sacro e profano, la danza da Israele al Teatro Festival Italia ‎

di Rosalba Ferrante

“Trascinare, raschiare, strappare, fondere: resti architettonici che si sono deflagrati nel paesaggio e ne sono diventati parte”, così Rami Be’er, già direttore artistico della Kibbutz Contemporary Dance Company, descrive il suo spettacolo, costruito sui quadri delle sue più belle coreografie: “Bein Kodesh Le’Hol”. In programmazione al teatro Politeama il 19 ed il 20 Giugno, la performance, in prima europea, è parte integrante del Focus sulla Danza Israeliana proposto quest’anno dal Napoli Teatro Festival Italia 2012, nonché la prima delle due coreografie presentate dalla Kibbutz Contemporary Dance Company dirette entrambe da Rami Be’er.
Una sinuosa cascata di sabbia apre lo spettacolo e tra i suoi flutti prendono vita e forma i corpi dei primi danzatori della scena, Ranana Randy e Daniel Costa. Tra illuminazioni opache o quasi del tutto assenti, la sabbia e l’imponente clessidra dalla quale essa proviene sono le uniche fonti di luce che illuminano ed accompagnano i passi degli artisti, delineando a ritmo di musica i muscoli dei loro corpi. Come una sorta di filo conduttore, la sabbia ha il compito di legare il susseguirsi delle scene e dei vari oggetti con i quali mano a mano i ballerini entrano in contatto. Mentre la clessidra senza tempo è ancora alta sul palcoscenico, la scena è rapita dalla coreografia ballata da Oz Mulay, Etai Pery e Ben Bach, dai cui resti si apre il quadro successivo, danzato da Nir Even-Shoham ed Eyal Dadon. Una rete di sbarre di ferro è l’elemento portante di questo quadro: una sorta di gabbia che, imprigionando gli artisti quasi come in un labirinto, suscita in loro un desiderio di libertà. Dalla solitudine delle prime scene, il palcoscenico diventa dunque sempre più popolato, fino a quando, sei danzatrici in abiti bianchi (Koreena Fraiman, Diana Raz, Anna Ozerskaya, Daniel Ohn, Ruby Wilson, Shani Cohen) chiudono lo spettacolo, dando vita all’ultima coreografia di gruppo.
La musica che accompagna tutte le scene dello spettacolo gioca un ruolo fondamentale, spaziando da composizioni classiche a sonorità elettroniche fino ad arrivare al brano “Minuit” del compositore canadese Christian Calon, che accompagna uno dei momenti più suggestivi dell’intero spettacolo.
In questo gioco di luci, ombre ed immagini minuziosamente studiate, lo spettatore è invitato a partecipare ad un viaggio alla scoperta di sé, dal quale, inevitabilmente e con rammarico, sarà infine costretto a ritornare.

“Di tanto in tanto la vita fa un salto,
ma questo non è mai scritto nella storia,
e io ho scritto solo per tracciare
e perpetuare la memoria di queste rotture,
di queste scissioni, di questi strappi, di queste
cadute violente e infinite che…”
(Minuit – Christian Calon)