Home » Napoli, News, Politica » “Raccontiamo il Mezzogiorno”: le speranze e le promesse per il futuro del Meridione

“Raccontiamo il Mezzogiorno”: le speranze e le promesse per il futuro del Meridione

di Mattia Papa

Si è temuto fosse un fiasco il convegno tenutosi nel dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Napoli Federico II intitolato “Raccontare il Mezzogiorno”, a cui hanno partecipato la prof.ssa Paola De Vivo, il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi-Doria, il consigliere regionale Lombardia Pd Giuseppe Civati e l’atteso Ministro per la Coesione Territoriale Fabrizio Barca.
Questo convegno è “per chi ha veramente a cuore la questione” ha affermato una signora tra la folla di giornalisti non avendo trovato un clamoroso numero di persone, spaventata anche dal fatto di essere lei stessa in ritardo. Invece non è andata così: i partecipanti accorsi per ascoltare il primo convegno organizzato da “quei bravi ragazzi” del collettivo “GiùAlSud” sono stati in molti. E tra la folla si è potuto anche scorgere l’ex governatore campano Antonio Bassolino, che elegantemente non ha creato rumore intorno alla sua persona, rimanendo fermamente interessato alle parole di chi teneva il convegno.
Moderato da Francesco Nicodemo, il convegno è iniziato con venti minuti di ritardo con un breve encomio del rettore del dipartimento Marco Musella, che ha esortato tutte le facoltà di Scienze Politiche del Mezzogiorno ad ospitare convegni e possibilità di dialogo tra la politica e la società civile.
I “racconti” delle più svariate personalità si sono susseguiti. Da ricordare il breve intervento di un ricercatore della Facoltà di Ingegneria, Antonio, che ha puntualizzato sul tema dell’innovazione: “L’innovazione – ha detto – è ciò che cambia il nostro modo di vivere. L’innovazione la fa la popolazione e in particolare i giovani. Quegli stessi giovani che vanno via verso altri paesi per trovare lavoro”. Guardando il ministro Barca, aggiunge: “E il problema non è neanche il fatto che vadano via, ma che noi italiani non siamo in grado di attrarre né i nostri né gli altri da diversi paesi: non rappresentiamo un’attrattiva. E questo anche perché manca l’innovazione”. Poi ha continuato: “Bisogna far comprendere come funzionano i mezzi d’innovazione, perché solo conoscendo l’innovazione si può progredire nell’innovazione stessa. L’innovazione non deve rimanere una ‘questione di elite’. L’assenza di avanzamento non dipende dai soldi, è una questione di strategia.” Infine, aggiunge: “La differenza la fanno le persone, e si è visto con il nuovo governo”.
La professoressa federiciana di sociologia Paola De Vivo, che ringrazia per l’opportunità di poter mettere in luce a livello nazionale problemi fondamentali del Sud, come il tema dell’esclusione, dello svilimento nei confronti degli studiosi meridionali e degli studi stessi, che dovrebbero essere affrontati meglio sul territorio. Parla di “dover fare un mea culpa generale perché, dal secondo dopoguerra ad oggi, non siamo stati in grado di sfruttare un bene collettivo per un maggiore sviluppo. Dobbiamo voltare pagina e lo si può fare solo sfruttando bene le spese pubbliche. Ci sono associazioni e movimenti che cercano di emergere ma non ci riescono perché siamo chiusi nel bene individuale. La domanda da fare è: come possiamo usufruire dei fondi comuni per un miglioramento che sia altrettanto comune?”
Il ministro Fabrizio Barca è sembrato particolarmente interessato quando è intervenuto Peppe Pagano, fondatore del Ristorante Pizzeria N.C.O., Nuova Cucina Organizzata. Pagano parla del suo passato da vero “non bravo ragazzo” e di come si sia salvato da un futuro già proiettato verso la camorra: cresciuto in un quartiere diffamato, ha avuto il coraggio di emanciparsi dalla sua condizione e combatterla. E tiene a sottolineare, rivolgendosi al ministro, che l’economia meridionale con l’intervento dello Stato è stata azzerata e non risanata. E lui stesso si è salvato (insieme ai ragazzi che quotidianamente riesce a togliere dalla strada grazie al lavoro) non di certo grazie ad un aiuto pubblico. Poi si rivolge alla platea e parla di sfida, una sfida che dobbiamo vincere insieme, in quanto italiani, tutti, “altrimenti abbiamo perso in partenza”.

Il ministro Barca (a sinistra) e il sottosegretario all'Istruzione Marco Rossi-Doria (a destra)

Il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi-Doria ha tenuto invece un discorso generico sull’importanza dell’istruzione e su come la crisi, prima della quale eravamo fermi, ci sia caduta addosso nel momento in cui non si è più riusciti a trattenerla nei margini. E quando è scoppiata, è il lavoro che ne ha risentito maggiormente. Così, i ragazzi che si affacciano nel mondo del lavoro oggi e cercano confronto con il mondo politico si trovano avviluppati dinanzi a persone avviluppate loro stesse in questioni che non riescono più a gestire. “Non si può chiedere – dice tra gli applausi il sottosegretario – di studiare per venticinque anni e poi preoccuparsi di un lavoro che non c’è. La nostra sfida deve essere quella di ridare fiducia, di vincere la dispersione scolastica attraverso le prospettive future. Bisogna creare nuovi dispositivi, dispositivi funzionanti: è questa la sfida”. Poi ricordando una telefonata avuta poche ore prima con il ministro Barca sulla difficoltà di poter riuscire a risanare i problemi, conclude: Non abbiamo una scelta, è questo quello che si deve fare, ed è questo che dobbiamo fare.”
Giuseppe Civati, esponente ormai affermato del Pd, polo opposto a Renzi nella nuova politica dei giovani, esorta la politica a “imparare a raccontare, ma soprattutto a raccontarsi”. Sostiene che i problemi sono di tutta l’Italia e che non c’è più possibilità per un margine d’errore. Chiede, poi, se si ha la forza di creare nuove proposte. E tra gli sguardi scettici del pubblico delinea progetti che devono partire dal basso, dal confronto con la gente, con il popolo, poiché deve essere il popolo stesso a raccontare alla politica quello che vuole nel futuro. Bisogna ascoltare la quotidianità sapendo creare incontri.

Il ministro per la Coesione Territoriale, Fabrizio Barca

Il ministro Fabrizio Barca, dopo aver ascoltato tutti i racconti e aver appuntato scrupolosamente ogni minimo passaggio, riassume tutto ciò che è stato detto durante il convegno in diversi punti.
Poi delinea il contesto in cui il Sud (così come il Nord) si muove parlando di capitalismo: “E fin quando non si troverà un sistema migliore delle democrazie capitaliste, dobbiamo adeguarci”. È finito il tempo delle grandi svolte: non ci sono più idee così rivoluzionarie da poter mutare tutto e subito con una svolta epocale. Cita Berlinguer (seguito dalla faccia scettica di Rossi-Doria): “Conviene stare in Occidente”.
Esorta a rimanere con i piedi per terra, cercando tutti di apportare un piccolo tassello al sistema, che per quanto sbagliato è l’unico che attualmente abbiamo. Oltretutto tiene a dire che siamo riusciti a resistere perché siamo un paese fondamentalmente ricco. E non soltanto da un punto di vista finanziario, ma lo siamo perché viviamo su un territorio che è pieno di opere d’arte, di cultura e di bellezza. Su tutto questo ci siamo adagiati, sfruttando e maltrattando proprio i motivi della nostra stessa ricchezza.
Spezza una lancia nei confronti del consigliere lombardo Civati riguardo il confronto, la possibilità di incontro e il farsi porre delle domande da parte della politica, che non deve essere chiusa in progetti che isolano i cittadini, i veri diretti interessati. Anzi: i cittadini stessi devono pretendere loro stessi la creazione di luoghi d’incontro, la creazione di una rete informatica che permetta il vero confronto con le personalità rappresentative.
Si sofferma su Pompei prima di concludere e dice: “A Pompei potremo fare bene se faremo funzionare al meglio due filiere, quelle del governo ma soprattutto quella sul territorio. C’è una filiera con il ministero dei Beni Culturali ma anche con il ministero dell’Interno per essere sicuri che non un euro dei fondi impiegati su Pompei finiscano nelle casse della criminalità organizzata”. Ma non è tutto: dobbiamo lavorare su noi stessi e mutare, perché soltanto così tutti gli sforzi non saranno vani e il futuro sarà migliore.
Conclude sulla visione di un’Idea dell’Italia, alla quale tendere e alla quale fare tendere la politica: “Il popolo non deve mettere i soldi, deve dire in che direzione andiamo”.
Lancia infine una frecciatina per il risveglio dei partiti a Civati, mascherando sotto il velo della speranza che, al loro risveglio, siano seriamente mutate le condizioni, dell’Italia così come degli italiani. Ed ovviamente dei partiti stessi. Speriamo solo che questi non siano solo racconti e belle parole di un caldo pomeriggio d’estate, con il sole che ha picchiato troppo forte sulle teste ed ha riscaldato troppo poco le speranze.