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La colpa per i successi sfumati

di Giacomo Palombino

Si vuole augurare a tutti i giovani appassionati di musica di provare, un giorno, l’emozione di mettere su una propria band, di scoprire la sensazione che si avverte a fare musica con propri amici con il fine di proporla al pubblico. Si augura, allo stesso tempo, di non fare la stessa fine che coinvolge centinaia di giovani gruppi, fine che, in realtà, dovrebbe essere piuttosto un inizio.
La prima soluzione, infatti, generalmente prescelta da una nuova formazione musicale, è quella di cimentarsi nella riproduzione di brani celebri, o comunque composti da band che già hanno raggiunto un certo livello di fama. Questa strada iniziale è inevitabile e forse anche consigliabile: è il modo migliore per trovare i propri punti di forza, per scoprire quindi le proprie potenzialità, e per rintracciare i giusti equilibri (sia personali che tecnici) all’interno della formazione. Il problema è che, spesso, i giovani musicisti sono spinti a non abbandonare questa strada, a proseguire mantenendo l’assetto di cover-band: insomma spesso si dimentica la possibilità di creare qualcosa di nuovo, o meglio, di proporre nuove creazioni.
I casi che si possono presentare sono due. Da una parte, la giovane band può mancare di idee originali, può essere carente di scelte nuove ed alternative, e di conseguenza è spinta a non seguire la strada della composizione. Dall’altra, invece, abbiamo il caso di giovani talentuosi, ricchi di proposte, compositori di brani che, seppur non paragonabili alle cover suonate ed ascoltate milioni di volte, possono essere decentemente proposti ad un pubblico. E allora, che succede a questo punto? Sfortunatamente, un locale di buona frequentazione, al centro di una città, che non prova alcun interesse nel voler concedere visibilità a nuovi compositori, spesso preferisce l’esibizione di una cover-band. È una realtà triste, dettata a suo modo dalle leggi del mercato. I soliti pezzi di Rolling Stones e Led Zeppelin saranno anche stati suonati centinaia di volte, saranno anche noiosi per molti, ma in ogni caso piacciono: è quindi una scelta sicura, un modo agevole per assicurarsi la serata, e portare a casa le mance e i prezzi delle consumazioni.
Non bisogna naturalmente generalizzare, ma spesso si tratta di uno sfruttamento a tutti gli effetti; e la faccenda è ancora più odiosa se si pensa che nel Regno Unito (e non solo) è lo stesso locale a domandare alle band ingaggiate che una parte, talvolta consistente, della scaletta si componga di inediti. Questo in ogni caso non sorprende, quando pensiamo alla molto più notevole proliferazione di nuovi giovani talenti fuori dalla nostra penisola. Rivolgere le orecchie verso volti sconosciuti che non appartengano a talent-show appare impossibile: in Italia sembra essere stata superata del tutto la via “tradizionale” per fare successo.