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Dietro il cinepanettone, la commedia all’italiana da Sordi a Totò. Genesi della risata giudicata “rozza”

di Brando Improta

“Cari critici, il giudizio del pubblico vale come il vostro,
anzi personalmente ritengo sia il vero e unico giudice.
Che poi ti rendi conto che questa è gente che parla di cinema,
ma non l’ha mai fatto in vita sua, sono imbottiti di nozionismo”
(Ezio Greggio)

1983. Dopo il grande successo di “Sapore di Mare” (considerato oggi, a tutti gli effetti, un cult-movie), i produttori Luigi e Aurelio De Laurentiis decidono di commissionare un film da far uscire a Natale agli stessi autori: i fratelli Vanzina. Carlo, regista (già assistente di Monicelli per “Amici miei” e “Romanzo Popolare”, e di Sordi per “Polvere di stelle”) e sceneggiatore, ed Enrico, co-sceneggiatore (precedentemente autore di “Febbre da cavallo”) realizzano così “Vacanze di Natale”. Protagonisti Jerry Calà, Christian De Sica e Stefania Sandrelli. Durante le prime proiezioni nessuno crede al progetto, ma a fine corsa il film avrà incassato oltre tre miliardi di lire.

Così è iniziata quella lunga serie di film definiti “cinepanettoni”, caratterizzati da un ricco cast di attori comici, ambientazioni spesso esotiche o innevate, personaggi melliflui e bugiardi, qualche trivialità ed equivoci. Sono film che alcuni critici soloni disprezzano, eppure sono forse gli unici film che in qualche modo hanno raccolto l’eredità della commedia all’italiana, per riassemblarla e rimodellarla in funzioni dei tempi moderni. Chi ricorda film come “Vacanze d’inverno” con Alberto Sordi e Vittorio De Sica, o “Racconti d’estate” con lo stesso Sordi e Marcello Mastroianni? Oggi sono considerati ottimi esempi di comicità italiana, eppure gli intrecci non erano per nulla dissimili da quelli di un cinepanettone e la critica di allora si affannava nel rimarcare la deplorevole volgarità di certe situazioni. E in fondo, anche i film di Totò erano tanto vituperati dalla critica (e buona parte di essi erano diretti da Steno, padre dei Vanzina), eppure oggi gli stessi critici si inchinano al genio del principe della risata e guai a toccarlo, perché considerato forse il miglior comico italiano di tutti i tempi.

Certamente con il passare del tempo i cinepanettoni sono peggiorati, soprattutto da quando gli incassi sono cominciati a lievitare incredibilmente, ma come si può non ridere o storcere il naso davanti all’innocenza e alla semplicità di film come “Fratelli d’Italia” (1989) o “Paparazzi” (1998)? Più di tanti presunti capolavori, questi film hanno saputo rappresentare l’italiano medio fanfarone, bugiardo e intrallazzatore, ma anche capace di riscattarsi spesso con un piccolo gesto o un grande atto di orgoglio: d’altronde il famoso schiaffo finale di Alberto Sordi al suo odiato capo in “Una vita difficile” non è molto lontano dalla presa di coscienza di Christian De Sica che butta in acqua la sua “protettrice” in “Montecarlo Gran Casinò”.
E lo stesso Alberto Sordi ha regalato forse la sua ultima gustosa interpretazione in “Vacanze di Natale ‘91”, così come tanti divi stranieri non hanno disdegnato di apparire in prodotti natalizi nostrani come Danny DeVito (eccezionale in “Christmas in Love”), Dean Jones, Bo Derek e Leslie Nielsen. Quale film più del dittico di “Yuppies” ha saputo raccontare l’epoca del rampantismo giovanile e la Milano da bere degli anni Ottanta? Forse questa critica di costume si è affievolita nel tempo, lasciando spazio alle gag scatologiche e becere degli ultimi anni, ma è impossibile cancellare anni di mirate prese in giro e simpatiche fustigazioni del costume nazionale.

Il cast di “Yuppies”, da sinistra a destra: Ezio Greggio, Jerry Calà, Massimo Boldi e Christian De Sica

Inoltre c’è l’aspetto più importante: gli incassi. Tolti gli attori-registi come Verdone, Pieraccioni o Benigni che, pure con alcuni alti e bassi, sono riusciti a far incrementare le casse dei botteghini italiani costantemente, i cinepanettoni sono stati per quasi trent’anni gli unici film italiani capaci di reggere il confronto con i blockbuster americani al box office nazionale.
E allora doppiamente non si capisce perché i critici italiani abbiano cercato ripetutamente di affondare e cancellare un ciclo che permette la vita stessa del cinema italiano: con quali soldi Tornatore avrebbe potuto permettersi “Baaria” (costato 25 milioni di euro, dei quali solo 12 sono tornati in cassa) se la Medusa Film non avesse incassato fondi con titoli come “Matrimonio alle Bahamas” (12 milioni d’incasso) e “La fidanzata di papà” (9 milioni) con Massimo Boldi? E inoltre, non è meglio una commedia semplice ma onesta e non pretenziosa nelle ambizioni, piuttosto di recenti pasticci come “I soliti idioti” o “Com’è bello far l’amore” che si nascondono dietro un’aria di novità e leggerezza, ripescando invece a mani basse dai più beceri film anni ’70 alla Pierino?

Massimo Boldi e Christian De Sica (in alto). Paolo Mereghetti (in basso)

Pochi giorni fa, un eminente critico come Paolo Mereghetti ha attaccato Sky Cinema Italia per il suo spot “Un venerdì da cinepanettone”, affermando che questo esalta la visione di film “di disinformazione” e di “disimpegno”, rimproverando la scarsa diffusione di film come quelli di Marco Bellocchio. Accusa e scandalo: ma non è forse più scandaloso che il suo dizionario dei film, che costa la bellezza di 49 euro, sia pieno di sbagli (nell’ultima edizione addirittura film citati nel sommario mancano fra le schede) al punto che, citando Greggio, “ci sono più errori in italiano che in un monologo di Aldo Biscardi”? Forse lo stesso Mereghetti è un personaggio da cinepanettone, un italiano un po’ facilone, che predica bene e razzola male.

Senza nulla togliere a registi come Bellocchio, il pubblico è il vero sovrano del cinema, se al pubblico piace ridere, piace passare un Natale o un’estate nel segno del disimpegno, chi è il critico cinematografico per potergli dire cosa vedere? Almeno i “filmetti comici” recuperano e triplicano le spese di produzione, permettendo ad altri film più impegnati di essere realizzati. Capita ad hoc l’esempio dell’ultimo film dello stesso Bellocchio, “La bella addormentata” costato 7 milioni di euro (di cui parte sovvenzionati dallo stato, quindi dai contribuenti) con un incasso attuale di poco più di 300mila euro.
Almeno le “sagre del cattivo gusto” permettono di passare un paio d’ore in allegria, cosa che in tempi di crisi non ha mai leso, mentre probabilmente un film espressionista alla Murnau potrebbe addirittura portare sull’orlo del suicidio per i suoi toni cupi e le atmosfere stranianti.
E se poi il cinepanettone lascia anche lo spazio per qualche piccola riflessione su quello che è il nostro stivale, ben venga, altrimenti ci si è divertiti.
Lasciate che il pubblico veda quello che vuole: si impongono le tasse, si impongono i doveri, almeno il divertimento sia lasciato libero.

Ad ottobre uscirà “E io non pago”, commedia vecchio stile con il pioniere del genere Jerry Calà; a Natale invece sarà la volta “Colpi di fulmine” di Neri Parenti e con Christian De Sica. Almeno per questo giro, fatevi da parte e lasciate ridere senza rimproveri.

Lo spot di Sky Cinema Italia “denunciato” dal critico Paolo Mereghetti.