Discutere di intolleranza non è cosa semplice. Le questioni che si aprono – e che inevitabilmente non possono essere risolte quando si affronta un tema di tale portata – sono tra le più varie. Indubbiamente si ha un gran bel coraggio semplicemente nel proporsi di approcciarsi ad esso.
Le implicazioni che si diramano da un argomento così complesso possono prendere tutto l’aspetto dello Spirito Umano, percorrendo la Storia, sia del pensiero che dell’agire appunto, probabilmente perdendosi nelle incredibili sfumature che sbocciano nel grande tema della Verità.
Ciononostante, partendo da una semplice analisi, possiamo pacatamente affermare che parlare di intolleranza necessita in primo luogo del concetto della tolleranza, in quanto suo contrario e originaria fonte da anteporre a qualsiasi riflessione.
La tolleranza è un termine che è stato prevalentemente usato per molti secoli in un’accezione religiosa, in quanto simbolo della libertà e – in tal senso – avvicinabile alla “sopportazione”. Tolleranza è però anche da intendersi come ogni forma di libertà morale, politica e sociale, cedendo alla plurivalenza dei valori in cui si scorge il modo di mantenere il controllo sul gruppo sociale, ovvero – con una definizione contemporanea – sulla società civile. In qualsiasi caso, parlare di tolleranza comporta sempre un qualcuno che tollera, così come un qualcosa da tollerare.
Tenendo conto di questa basilare considerazione, si può guardare la stessa Realtà – sotto un certo punto di vista – come una guerra, in cui – per ordine di cose – si finisce in un certo “tollerarsi”, da non confondere con una sottomissione: sottomessi – obbligati o meno – solo nell’ottica di un necessario “cedere per poter avere”: che sia un aver salva la vita o più ricchezze, poco importa agli occhi della concettualizzazione. Così, generalmente si è sviluppata la storia dell’umanità, in memoria della famosa figura hegeliana del servo-padrone.
In natura – senza alcuna pretesa scientifica – ad esempio, i pianeti, le galassie e l’universo, si mantengono su un miracoloso equilibrio in cui la prevalenza della forza di attrazione crea un complesso ordine tra le parti, che finiscono per trovare ognuno la propria dimensione in un privarsi o meno di quella intrinseca volontà di imporsi su tutto il resto che le circonda.
L’uomo, in quanto oggetto naturale, ma consapevole – nell’unica ottica a lui nota, ovvero il pensiero – persegue un esercizio di questo genere: nascono qui i motivi di tutte le teorie politiche, così come le applicazioni di misure sociali ed economiche; poiché nessun uomo tende alla tolleranza del prossimo, ma sempre alla sottomissione, in cui il più forte prevale e determina le sorti altrui.
Senza tolleranza, solo appropriazione di ciò che c’è intorno. Appropriazione da parte di uno o di pochi. Mai dei molti, se non per pochi momenti successivi a ribellioni e/o rivoluzioni.
In ambito di “tolleranza” si dovrebbe forse più discutere, oggi – epoca ormai ampiamente illuminata da determinate consapevolezze – sul concetto di rispetto: poiché per discutere degnamente proprio della tolleranza, bisognerebbe tenere ben presente una verità (possibilmente assoluta). E nell’epoca delle incertezze e del cinismo, dello scetticismo e del degrado – dubbi che avrebbero aiutato l’ascesa di una religione in epoche storiche precedenti – non vi è la possibilità di darsi una verità. E la scienza, guardando in quest’ottica, è una mera consolazione.
Ora, ciò che differisce l’America e le culture musulmane (propriamente descritte nell’articolo precedente) si ritrova in un intrecciarsi di motivi religiosi e politici. Già Crizia, sofista del V secolo a.C., aveva intuito l’utilità politica della religione, poiché essa finisce per diventare “oppio dei popoli”, come osservò Karl Marx.
Deve essere legittimo – e lo è – poter descrivere che da un punto di vista laico, quindi, la religione è da intendersi come un tenace organo di regole, che va ad influenzare la cultura e i costumi dei popoli che ad essa aderiscono.
In particolare la religione islamica, unica religione che ancora continua a mantenere un rigido controllo ed una effettiva autorità morale dalla quale è impossibile sfuggire.
La guerra tra le parti, allora, non è tanto mossa dalla religione, ma da quella convinzione consolidata di supremazia come ultimo obiettivo.
E anche l’America, che si pone come potenza laicizzante che controlla l’effettiva democrazia nel mondo, ha una tendenza prettamente orientata alla supremazia in quanto organo garante della democrazia stessa. Un esempio un po’ troppo tirannico forse. Ma a l’uomo piace prendersi in giro.
Oltretutto, per quanto le politiche estere del Presidente USA in carica, Barack Obama, non siano concentrate su attacchi ideologici e belligeranti rispetto ai suoi predecessori, è un preconcetto quello che accompagna la storia americana: ovvero quello secondo il quale l’America è tiranna di ampia parte del mondo (e tale tendenza non è di certo esorcizzata dalle affermazioni dell’attuale candidato repubblicano Mitt Romney).
Come ha detto l’attuale Portavoce della Casa Bianca Jay Carney riguardo le vignette pubblicate dal giornale francese ‘Charlie Hebdo’: “Non discutiamo il diritto di pubblicare vignette, ma esprimiamo perplessità sul giudizio che ha portato alla decisione di pubblicarle”. Il giudizio, appunto. O anche detto la nostra capacità di riflettere. Ed è proprio sulla riflessione che dovremmo far perno, poiché è in essa che si sviluppa la nostra visione delle cose: ed è istruendola che potremo trovare un naturale avvicinamento al rispetto. Ovvero tollerarci in vista di una felicità e organizzazione comune – inteso tutto ciò come un ovvio discorso tendente alla realizzazione di una pace assoluta nello spazio di una dilatazione del tempo impossibile da determinare. Un’utopia meno lontana se si inizia a percorrerla. Altrimenti, bisognerà obbligarsi, come suggeriva Voltaire nel ‘Trattato sulla tolleranza’, a “fingere di perdonarsi”, poiché sul perdonarsi sul serio non sembra vi sia molta possibilità. Molto più semplice è proclamare l’intolleranza – chi religiosa, chi fondamentalmente politica – bruciando bandiere e minacciandosi “atomicamente”.
Nota dell’autore
La famosa citazione di Karl Marx secondo la quale la religione è oppio dei popoli, è probabilmente attribuita erroneamente al filosofo: l’appartenenza è data a Bruno Bauer (Eisenberg, 6 settembre 1809 – Berlino, 13 aprile 1882) [fonte: A. Donini – “Breve storia delle religioni” – Newton Compton Editori, pag. 83]