Ultimamente in Italia la situazione politica è davvero poco chiara, frenetica, difficile da seguire. Non che in passato fosse limpido il panorama del potere pubblico, ma la società civile sapeva dove e come schierarsi: a destra con Berlusconi (annuendo ad ogni sua parola e difendendolo a spada tratta) e a sinistra per chiunque fosse contro di lui (sia che questi fosse Fini, Casini, Bersani o Vendola). L’opinione pubblica era facilmente schierabile individuando a destra Ferrara, Sallusti, il Giornale e il gruppo editoriale Mondadori; a sinistra Santoro, Gad Lerner, Travaglio, tutta la redazione di Repubblica e il gruppo editoriale l’Espresso. Insomma: il Cavaliere non era solo il leader e segretario del Pdl, ma faceva da sfondo a tutta la politica italiana tanto da diventare l’emblema del nostro paese e riunendo sotto l’ambito dell’opposizione (sia culturale che parlamentare) personalità e ideologie molto lontane fra loro. L’assenza totale di spirito critico ha portato ad un cieco ideologismo privo di reale prospettivismo politico, così come l’espressione della banalità in tutte le forme della società e del costume, l’estremizzazione della “italianità” fino al parossismo, ha definitivamente segnato l’appiattimento intellettuale della maggior parte della popolazione dello Stivale. E ora che tante sono le questioni aperte e fondamentali per il futuro del paese, non si sa più dove guardare né dove appigliarsi. Certo non è di conforto né di aiuto guardare la faida tra Renzi e Bersani, faida che oltretutto taglia fuori tutti gli altri concorrenti (in evidente appoggio al segretario per decentrare i voti dal “rottamatore” di Firenze). E mentre Renzi lascia i suoi elettori digiuni di un effettivo programma politico ammaliandoli con sapiente demagogia e sfruttando la loro forte insoddisfazione per avanzare approcci populisti, fruendo così la mala e l’anti-politica, Bersani è troppo impegnato nella presa di posizione all’interno del Parlamento per condurre una campagna elettorale che sostenga seriamente l’elettorato. Non è altrettanto di aiuto Beppe Grillo e il Movimento 5 Stelle – momentaneamente in silenzio stampa –, secondo partito italiano (immediatamente dietro il PD) e pericolosamente in salita verso il futuro primato in parlamento: una loro vittoria implicherebbe una caduta nell’anti-politica e nell’anti-europeismo, ed un riposizionamento dell’Italia in una condizione altrettanto scomoda come nell’ultimo ventennio, agli occhi delle altre potenze europee. Al colpo finale ci pensa come al solito Berlusconi, il quale si era negli ultimi giorni ritirato, dando così il via alle candidature per le primarie di centrodestra – e scatenando il panico all’interno del PDL. Poi il passo indietro. Ma l’ex-premier è tornato in campo dopo la condanna a quattro anni di reclusione (tre già condonati e uno in via di prescrizione) per frode fiscale nel processo Mediaset. Il suo “ritorno” è da lui inteso come un dovere morale, poiché l’Italia è nelle mani di quella che definisce una “magistratocrazia”. “Una condanna – ha detto dopo la sentenza – politica, incredibile e intollerabile”, da “paese barbaro e incivile”. “Di certo non si può andare avanti così – ha poi aggiunto – e dobbiamo fare qualcosa”. Sorge spontaneo chiedersi cosa crede di poter fare ancora dopo vent’anni di evidenti sconfitte – data la sentenza dei suoi acerrimi nemici – e con l’Europa e l’Italia accusate e derise per sua causa. L’oscuramento critico – possiamo chiamarlo così – nei confronti della lungimiranza della popolazione italiana ha prodotto un “personalismo” intrinseco al nostro paese che cancella definitivamente il rispetto verso il prossimo. Continuando così, rimarrà incompiuto il tentativo di creare un disegno comune di una patria, di una nazione unita nonostante le differenze, le idee e le culture. Nessun politico sacrificherà il suo bacino elettorale per dare un senso all’Italia in quanto tale, per finalmente costruire un’idea strutturale di nazionalità in un paese che solo nella maniera tragica e illusoria del fascismo ha potuto vedersi unito. Ed il risultato? Una piega “macchiata di sangue e di orrore” che marchierà a vita il paese, ma a cui nessuno neanche tenta di porre riparo. E come se non bastasse, l’unico possibile barlume di speranza (residente nella libertà di stampa e nel cosiddetto “quarto potere”, il giornalismo) viene occultato dall’ultima arrivata legge sulla diffamazione, che pare esser scritta ad hoc per cancellare qualsiasi forma d’opinione. Una legge che multa in termini morali e professionali, oltre che economici, ma che ha anche l’ardire di mascherarsi da grazia e proclamarsi in quanto “favore” per l’abolizione della reclusione per i giornalisti (i primi chiamati in causa). L’unico modo per mantener vivo – anche se qui si tratta di ridargli vita – lo spirito critico, un ingegno aguzzo e che tende ad andare fuori dagli schemi, che non si accontenta della versione ufficiale ma che riesce a scorgere tra le maglie delle parole l’inconfondibile puzzo della corruzione antropologica che ci portiamo dietro come assunto umano, muore con questa legge che non a caso e non erroneamente è stata definita “nuovo-Bavaglio”. Se qui c’è qualcuno che deve essere accusato di ingiuria e diffamazione, è proprio quella classe politica che festeggia al Senato l’approvazione e incita a “giocare” con la pena poiché non riescono a più sopportare le “ingiustizie” legate al loro nome “tramite gli attacchi quotidiani sui giornali”. Ma qui non si tratta più di anti-politica, populismo o chissà cos’altro: è evidente la presenza di un germe, di una insanabile malattia che aggredisce chi tange le vette del potere in Italia (da Grillo a Renzi, da Bersani a Berlusconi, dalla destra alla sinistra) e che solo con una presa di coscienza potremo vincere e infine superare, per rifondare una classe politica ed uno Stato che abbia l’onore di definirsi tale.
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