Tutti ricordiamo gli scempi storici della Chiesa cattolica;. Dalle crociate, all’intromissione nel potere temporale, fino alla caccia alle streghe. Tutte verità nascoste o negate o storpiate, per secoli, dal Vaticano. Almeno fino al 12 marzo del 2000, quando papa Giovanni Paolo II, nato Karol Wojtyła, non chiese scusa “per i peccati dei cattolici attraverso i secoli”, coronando così l’inizio di un vero e proprio percorso riformista che aveva visto, già dai decenni precedenti, una Chiesa più vicina alle esigenze della condizione contemporanea. Con Giovanni Paolo II, infatti, nonostante considerevoli riserve (nel 96’ la Chiesa lasciò che in Africa alcuni vescovi organizzassero roghi di preservativi e opuscoli informativi sulla prevenzione dell’AIDS), si era arrivati ad un avvicinamento clericale alla società moderna. Perché Wojtyła era il papa del dialogo, capace di mostrarsi, al di là della sua veste istituzionale, sensibile al mondo giovanile o verso le altre religioni e possessore di qualità mediatiche tali da contribuire alla preservazione di un clima di pace internazionale, nonostante le tensioni politiche della guerra fredda.
Ma adesso è opportuno chiedersi: il processo di modernizzazione interno alla Santa Sede, è stato proseguito nei tempi ultimi? Da quella che finora è stata la condotta del pontificato attuale, parrebbe decisamente di no. Non che nei pontificati precedenti ci fosse mai stato un barlume di evoluzione nei contenuti. La Chiesa ha sempre ribadito posizioni anacronistiche, quali la negazione del sacerdozio femminile, la ferma contrarietà davanti a scelte etiche come aborto o eutanasia, l’intolleranza omosessuale, o il celibato ecclesiastico.
Sta di fatto che Joseph Ratzinger, eletto Papa Benedetto XVI nel 2005, non può certo vantare un operato all’altezza del suo predecessore. I suoi cinque anni di pontificato hanno costituito, anzi, una notevole regressione. Ne abbiamo un esempio nella conferenza del 2006 all’università di Ratisbona, dove Sua Santità, con la scelta a dir poco irresponsabile di citare il passo di un suo predecessore bizantino, Manuele II, in cui viene aborrito il personaggio di Maometto – “mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane” – scatenò reazioni violente da parte di tutto il mondo Islamico, ricevendo, anche da parte di numerosi cattolici la critica di aver inttaccato l’equilibrio già precario tra Islam e Cristianesimo.
Altri esempi di tale regressione sono le affermazioni del 2009, in cui il Papa, negando di fatto un’indiscutibile verità scientifica, sostenne che l’uso del preservativo non solo non sarebbe una soluzione contro l’AIDS, ma che anzi costituirebbe un aggravio del problema. E vi è ancora il caso della remissione della scomunica al vescovo inglese Richard Williamson, dichiaratamente un negazionista della Shoah.
Ma non è solo il suo operato da Santo Padre a gettare ombre sul personaggio: anche il passato da cardinale di Ratzinger ha tratti sconcertanti. Basti pensare al caso del 1986, quando, a proposito di una sanzione quale la pena di morte, la commissione di vescovi da lui presieduta , incaricata di redigere la prima stesura del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, affermava in un passo del trattato che “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude… il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani”.
Alla luce di questi dati, nonostante la piena convinzione che la Chiesa abbia diritto e dovere di esprimere la propria opinione, anche in campo politico, non resta che augurarsi che essa si liberi di tali esecrabili rappresentanti, portavoce di una politica clericale di tipo medioevale.
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