“La maggior parte degli uomini,
piuttosto che ricercare la verità, che gli è indifferente,
preferisce adottare le opinioni
che gli giungono già pronte”
(Tucidide)
Siamo sull’orlo di una “nuova” crisi politica, figlia delle amministrazioni malate e logore dall’interno degli anni precedenti. Forse non ce ne rendiamo conto. Non davvero almeno. O preferiamo occultare i nostri occhi e dirci che il prossimo candidato alle politiche 2013 sarà indubbiamente migliore del precedente, perché è impossibile toccare il fondo quando sul fondo già si è seduti. Magari ci aspettiamo che il futuro premier avrà più la forma politica del rieletto presidente Obama, oppure che, a modo nostro, riusciremo a trovare una dimensione all’interno del ben più complesso – e davvero non è semplice essere più complessi dell’Italia – panorama europeo, senza ridurre il mondo sull’uscio del default economico. Questo dimenticandoci, però, che tutte le nostre “imitazioni” (poiché di questo abbiamo vissuto nel tentativo di adeguarci) dei movimenti politici e culturali sono state effimere riconsiderazioni di ciò che era già marcio e logoro da una dozzina d’anni in altri paesi e regioni del mondo. Ma non è stato sempre così: l’Italia – deve essere ricordato – è stata la culla del pensiero prima della rivoluzione socratico/platonica nel mondo greco; è stata il centro del mondo antico con la sua (ancora oggi attuale) capitale Roma; è stata la patria dove la più grande religione di tutti i tempi – il Cristianesimo – ha ritenuto (quando gli animi erano davvero lieti e devoti al Cristo, e non alla corona papale) necessario dover fondare la propria “casa” e accogliente riferimento per i “figli di Dio”. L’Italia è la patria del “dolce stil novo” e delle tre corone Dante, Boccaccio e Petrarca. È la madre dell’economia moderna con le grandi svolte politiche-economiche del 1400, quando si ebbe un primo serio approccio al “sistema bancario”. L’Italia è il ventre che conserva la Firenze di Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Donatello; è il cuore che pulsa la passione del Mezzogiorno, è il senso dell’estetico più raffinato al mondo e ennesima rivoluzionaria forza con il Rinascimento laico, filosofico e artistico. L’Italia è il Bernini, il Foscolo e il Leopardi. È la terra del “Viaggio in Italia” di Goethe. L’Italia è – anche nel male – l’interprete dei malumori europei con il Fascismo. Insomma, è terra di un grande popolo. Un popolo a cui, però, piace dimenticare. Un popolo che ama bendarsi gli occhi e aspettare che gli si venga elargito il piacere a bocconi come un bambino sul seggiolone. Poiché è più facile ingannarsi e lanciarsi tra le braccia del primo imprenditore self-made-man (ma noi non siamo l’America, né gli americani) che promette meno tasse e più stipendi, più lavoro e meno iva; è più facile denigrare l’euro che è un passo avanti verso un’unione del Vecchio continente. È più facile restare a casa e lasciare scendere in piazza i pochi poveri schiocchi che guardano con occhio preoccupato la situazione globale e nazionale, per poi aderire al biasimo o alla festa a seconda di dove butti il vento. È più semplice non ascoltare gli operai insieme a tutti i precari che manifestano e passano le notti al gelo, pur di non mollare quell’unico appiglio che è il potersi ribellare ancora: la possibilità di dire “non ci sto”. Un grido che poche volte si sente in questo paese, ed è sempre troppo fioco. Un paese che non si indigna è come se fosse già morto. E noi non lo siamo, perché ancora – anche se tardi, anche se non sempre capendo bene perché – ci ribelliamo. Dunque siamo – direbbe Camus. Non nascondiamoci dietro le righe di un articolo né sotto un velo di personalismi e individualismi biechi e malsani: troviamo la forza di rialzarci dalle ceneri che sono il nostro stesso esserci bruciati nelle nostre passioni mortali. Perché prima di tutto, prima di qualsiasi altra cosa, ricordiamocelo, noi siamo il popolo delle passioni ardenti, delle voci nella notte fino a tardi che non smetto di amarsi fino a quando non è la voce a calare. Non siamo Matteo Renzi, il Camper e i fantocci; non siamo neanche Bersani, la Bindi e D’Alema con il loro pseudo-progressismo. Non siamo Berlusconi, Alfano, le primarie e le amazzoni del Pdl. Noi siamo gli italiani, troppo speranzosi e troppo ingenui per comprendere le malattie che ci hanno invaso. Ma siamo anche coloro i quali, nelle prime luci chiare dell’alba, hanno il coraggio di rialzarsi e vincere la stupidità e le tenebre mussoliniane: di scorgere la verità e di non vergognarsene affatto.