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Il coraggio di disobbedire

di Roberto P. Ormanni

“Non è da augurarsi che l’uomo coltivi il rispetto per le leggi ma piuttosto che rispetto ciò che è giusto. Il solo obbligo che io ho il diritto di arrogarmi è di fare sempre ciò che credo giusto…La legge non riuscì mai a rendere gli uomini più giusti neppure di tanto; anzi, proprio per il rispetto che portano alla legge, persino uomini di buoni principi, si trasformano, quotidianamente, in agenti di ingiustizia. […] Prendiamo un gruppo di soldati, colonnello, capitano, caporale, soldato semplice, inservienti, tutti in marcia, in perfetto ordine e per monti e per valli: vanno alla guerra non solo contro la loro volontà ma anche contro il buon senso e la loro coscienza. Una marcia faticosa, non c’è che dire, da cardiopalma. E sanno tutti benissimo di trovarsi in un maledetto pasticcio, è gente pacifica. Adesso, però, che sono? uomini o piuttosto fortini e casematte ambulanti, al servizio di qualche potente senza scrupoli? Bisogna andare nelle caserme dove si esercitano le forze armate per capire che razza d’uomini può creare il nostro governo e a cosa ridurli – pure ombre, ricordi di uomini, già sepolti sotto le armi, con accompagnamento funerario.
E’ così che la massa degli uomini serve lo stato, non come uomini coraggiosi ma come macchine, con il loro corpo. Sono l’esercito permanente, la milizia volontaria, i secondini, i poliziotti, il posse commiatus ecc. Nella maggioranza dei casi non c’è nessun libero esercizio del giudizio e del senso morale, sono al livello del legno, della terra, delle pietre. Suppongo che se facessimo degli uomini di legno sarebbero altrettanto utili. È un tipo d’uomo che non richiede maggior rispetto che se fosse fatto di paglia o di un impacco di sterco. Ha lo stesso valore dei cani e dei cavalli. E tuttavia, normalmente, quegli uomini sono considerati buoni cittadini. Altri – come la maggioranza dei legislatori, dei politicanti, degli avvocati, dei preti e dei tenutari di cariche – servono lo Stato soprattutto in base a ragionamenti astratti; e poiché fanno assai di rado distinzioni morali, hanno la stessa probabilità di servire Dio che, senza volerlo, di servire il diavolo.
Pochissimi – gli eroi, i patrioti, i martiri, i riformatori in senso ampio e gli uomini – servono lo Stato anche con la loro coscienza: e così, nella maggior parte e di necessità, si oppongono al governo che di solito li considera nemici. […]Tutti riconoscono che esiste un diritto alla rivoluzione – il diritto di rifiutare obbedienza o di opporsi a un governo la cui inefficienza o tirannia siano grandi e insopportabili”. (Henry David Thoreau, “La disobbedienza civile”)
E se ogni poliziotto, ogni carabiniere, ogni uomo in divisa disobbedisse a qualunque ordine violento? Se le forze dell’ordine rifiutassero di caricare manifestanti inermi? Se le squadre antisommossa di Roma, di Napoli, di Milano, di Genova, di Torino, “pure ombre, ricordi di uomini”, ripudiassero l’aggressività e riuscissero a non trasformarsi in “agenti di ingiustizia”?
E se ogni manifestante pacifico sconfessasse qualsiasi gesto bellicoso? Se ogni mano che stringe una pietra lasciasse cadere una volta e per tutte l’impotente alibi (imposto da qualcuno) che vorrebbe nella violenza la vera rivoluzione? Se studenti e agenti manifestassero nello stesso corteo, guardandosi negli occhi e comprendendo che, al di là di passamontagna e caschi privi di numero identificativo, le storie della gente sono così maledettamente simili?
Se ogni volto sceso in piazza, su ogni fronte, avesse il coraggio di disobbedire al proprio comando e rispettasse soltanto ciò che è giusto, servendo la propria coscienza? Cosa succederebbe?