C’è un grande motivo, infondo ai nostri cuori, in cui risiede il perché l’Estetica non è morta tra le rughe di filosofie o di astrattismi artistici. Non perdiamoci in elucubrazioni e grandi disquisizioni morbose che attentano alla nostra voglia di vivere, ma semplicemente pensiamo a quanto la finezza nel saper cogliere il bello nelle cose, condizioni la nostra vita – e la vita degli altri di conseguenza. Per noi, per loro: per tutti. Guardiamo alla Bellezza così come alla Bruttezza che c’è nel mondo: constatiamone una necessaria importanza. Sono come il Bene e il Male, il Bianco e il Nero: punti cardini della nostra vita. Ma essi osano ancora oltre. Più in alto, poiché battono le soglie della moralità, della conoscenza scientifica che spesso risulta fredda ai più: il Bello e il Brutto sono i colori che noi ri-mettiamo nelle cose una volta guardate semplicemente di sfuggita.
Ebbene, cosa si potrà mai ritrovare di Bello, allora, nelle lotta contro i poteri forti? Già semplicemente il concetto di “lotta” sembra alquanto scomodo per un giudizio che vuole dirsi estetico. Ma se l’estetico è il nostro “colorare” il mondo, di quale colore potrà mai essere la lotta? Per alcuni è rossa, per altri è nera. Ma noi cerchiamo l’universale, il colore generale, quell’unico afflato che coinvolge tutte le parti alla Lotta in quanto tale, qualunque essa sia. E allora, davvero importa il colore? O forse conta più il fatto che essa un colore lo possegga a prescindere? In questo giace il Bello: non l’essere giudicati belli o brutti, bensì la possibilità di poter avere un giudizio tale e di riceverne.
E allora, verso cosa si lotta? Ogni lotta è sempre verso un qualcosa di pre-stabilito. Essa è la contraddizione, il bastian contrario, il dire no nella consapevolezza che sempre vi è qualcosa di lercio e sudicio nel potere (quando la lotta è la lotta al potere, in particolare politico). La politica è un vortice terribilmente affascinante, che ti trascina e ti avvelena della sua “erotica” – incontrollata e incontrollabile – di controllare, possedere, poter potere. E risulta allora chiaro che, fin quando ci sarà politica, ci sarà bisogno di “unirsi” e di ribellarsi; ci sarà bisogno di scendere in piazza per manifestare la propria sofferenza, il proprio disagio e soprattutto per dipingere, sotto i loro occhi, quanto una penna e un paio di leggi possano distruggere vite intere. Per ricordar loro che esiste una realtà che è differente da quella in cui si sono ingabbiati: quella dei “bamboccioni”, degli “choosy” e degli operai di Pomigliano; dei disoccupati, dei precari, delle scuole pubbliche senza fondi, delle famiglie che non arrivano neanche alla metà del mese; di studenti disabili senza insegnanti di sostegno, di università decadute nell’essersi atrofizzate, di giovani senza futuro. Bisogna ricordare a chi siede tra le mura di Montecitorio e di Palazzo Madama (così come Palazzo Chigi o qualsiasi altra sede del potere), che esistono soltanto finché noi, voi – ma non di certo loro – continueremo ad esistere. E in questa necessaria corrispondenza in cui eternamente si scontreranno i potenti con gli oppressi, in un eterno ritorno di lotte di classe e frustrazioni per disagi e allucinanti violenze, non possiamo non ammettere che è incredibilmente bello, nel senso più proprio, essere talmente importanti. E altrettanto non possiamo sfuggire dal dirci quanto sia struggente guardare la bella importanza della lotta ai poteri forti, in quanto presa di coscienza di noi stessi, di perno verso un nuovo salto nella storia.
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