Ha il sapore dei versi della Barbara di Prévert, il libro di Ilaria Goffredo “Amore e Guerra” (0111 Edizioni, libro €15,00; ebook €8,99). Una contraddizione, quasi un ossimoro, che si sviluppa dal titolo fino alle ultime righe del romanzo; uno scontro tra l’unione e la dissoluzione sul terreno del Ruanda durante la guerra tra le due etnie degli Hutu e dei Tutsi. Una guerra per amore e un amore per la guerra, quello della protagonista Siria, una giovane educatrice di Bari, volontaria in un orfanotrofio ruandese, che durante le prime pagine della narrazione si innamorerà del bel giornalista americano Ian. La bella Siria, per come descritta dall’autrice, vive nel complesso – anche se mai detto esplicitamente – dell’essere anch’essa orfana e cresciuta sola con la sorella maggiore Elena, per cui ha rappresentato l’unica ragion d’esistere e compensazione per la perdita dei genitori. Con periodi ben scritti e uno stile scorrevole, la Goffredo già durante le prime pagine del romanzo descrive il primo vero cambiamento della protagonista, che decide di sganciarsi dal ruolo di “crocerossina” personale di Elena – che le aveva fatto da madre in quegli anni sopprimendo così il suo dolore, nella menzogna di una “reazione” in sostegno della sorella più piccola – e partire per offrire il suo appoggio a chi ne aveva più bisogno. Si apre così, agli occhi del lettore, quella necessità di autoaffermazione di Siria, alla ricerca dell’amore in una continua lotta con se stessa, tra il rendersi finalmente felice con Ian e il rendere felice gli altri attraverso il suo aiuto. Il gioco che brillantemente la Goffredo riesce a installare tra i personaggi e nella protagonista stessa si realizza con pagine intrise di un romanticismo mai banale e differente da quel classico patetismo occidentale: un amore per la guerra, per il dissidio interiore che Siria non riesce a vincere e a superare entrando in quell’accettazione per la morte dei genitori, di cui si è sempre addossata la colpa. Il parallelismo e intreccio tra amore e guerra, motivo centrale della vita di ognuno, si ritrova lungo tutta la storia: tra Ian e il tenente ONU Jimmy per l’amore di Siria, tra gli Hutu e i Tutsi, tra la bella volontaria e se stessa, tra l’Amore e la Guerra e, soprattutto, tra il cedere alla vita o alla morte. La storia è oltretutto ben documentata sui fatti prettamente storici, e si avverte l’esperienza effettivamente vissuta dall’autrice in Kenya dato lo spessore emotivo che trapela dalle descrizioni del dolore della gente ruandese, che si stampa nelle nostre menti come se fosse dinanzi ai nostri occhi. Si prospetta un florido percorso per Ilaria Goffredo, che a 25 anni e con due figli, ha trovato la voglia di gridare al mondo l’assurdità della guerra e l’orrore della sofferenza ancora manifesta nelle atrocità dell’esistenza degli indifesi, non per questo rinunciando all’altro grande motivo essenziale, ovvero la vita (o anche detta Amore). Si conclude meglio della poesia di Prévert (“Lontano lontano da Brest / Dove non c’è più niente”) la storia, acquisendo quel retrogusto di dolcezza così raro: Siria (o Ilaria) ritrova, infine, l’Amore per gli altri e per se stessa, in un definitivo amore per quella guerra che è lo stare al mondo.
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