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La democrazia della lingua: quando la comprensione delle parole diventa uguaglianza

Andrea Camilleri

di Roberto P. Ormanni

Europa in recessione, Italia in crisi. Eppure, ad affondare nelle difficoltà non sono soltanto l’economia e la politica. La stessa lingua italiana vive in emergenza, e la colpa è anche di chi ci governa. Parola di Andrea Camilleri. “La nostra lingua non sembra star molto bene e non si fa niente per curarla, sicché le sue condizioni di salute peggiorano col trascorrere del tempo”, così lo scrittore siciliano, durante la consegna della laurea honoris causa in Lingue all’Università di Urbino, ha riflettuto sull’indebolimento culturale dell’italiano. “Se all’estero – ha detto Camilleri in un passaggio della sua ‘lectio magistralis’ – la nostra lingua è tenuta in scarsa considerazione, da noi l’italiano viene quotidianamente vilipeso e indebolito da una sorta di servitù volontaria e di assoggettazione inerte alla progressiva colonizzazione alla quale ci sottoponiamo privilegiando l’uso di parole inglesi”. Camilleri ha direttamente rivolto il suo disappunto verso il presidente del Consiglio: “Parlando di spread o di spending review – ha ragionato l’autore della serie di Montalbano – Monti è il primo a dare il cattivo esempio. Basterà ricordare parole come ‘election day’, ‘devolution’, ‘premier’ e via di questo passo. Oppure creando orrende parole derivate tipo ‘resettare’. Tutti segni, a mio parere, non solo di autosudditanza ma soprattutto di un sostanziale provincialismo”. Camilleri ha poi ricordato che “da qualche anno a questa parte la traduzione in italiano di tutti gli atti dell’Unione Europea è stata abolita. L’obbligatorietà della traduzione rimane per l’inglese, il francese e il tedesco. E questo senza che nessun politico italiano vigorosamente protestasse, pur essendo l’Italia uno dei paesi fondatori della Ue”.
PRESTITI e POLITICA. Camilleri, con la sua ammonizione linguistica, è tornato così ad illuminare il rapporto della lingua italiana con i cosiddetti prestiti, tutte le parole tratte da altre lingue ed entrate a far parte del dizionario italiano. Eppure, fino all’Ottocento, le voci straniere sono state adattate e integrate al sistema della lingua a tal punto da far perdere l’avvertenza di ogni traccia “estranea”. Treno, fuorilegge, opportunità, processore: sono tutte parole forestiere, tanto quanto lo sono termini come background, stalking, day hospital o week-end. La sola differenza è che oggi si è persa l’abitudine a “tradurre”, adattare alla lingua, i prestiti. Il verosimile motivo sociale, culturale e politico di questo “mancato adattamento” è rintracciabile nella reazione di opposizione alla campagna linguistica, autoritaria e dirigista, condotta dal Fascismo contro i forestierismi, le minoranze linguistiche e tutti i dialetti. Tuttavia, se in Italia non esiste un organo incaricato di promuovere interventi regolativi sugli usi linguistici, il rifiuto delle politiche linguistiche non è arrivato in altre zone d’Europa. In Spagna, la competenza di politiche linguistiche è interamente affidata alle regioni stesse, mentre in Francia sono particolarmente attivi l’”Haut Comité pour la défense et l’expansion de la langue française” e la “Commissions Ministérielles de terminologie”, il cui obiettivo è quello di proporre nuovi termini che vadano a sostituire i prestiti da lingue straniere.
DEMOCRAZIA DELLA LINGUA. “Tutti i cittadini hanno parti dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, così l’articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana. Senza distinzione di lingua. Non è solo la condizione personale e sociale che rischia di determinare una diversificazione. Nel testo non compare esclusivamente la minaccia di una discriminazione di razza, di sesso o di religione. E’ la stessa lingua che può trasformarsi in strumento di distinzione discriminante. E se una distinzione di lingua diventa ostacolo alla realizzazione dell’eguaglianza, è compito della Repubblica intervenire, rimuovendo gli ostacoli linguistici che di fatto limitano la libertà e il pieno sviluppo dei cittadini. Chiedere ad un governante l’utilizzo di un linguaggio semplice, ripulito da tecnicismi e decifrabile dalla moltitudine, potrebbe non trattarsi di una banale ricerca di purismo linguistico, ma una naturale esigenza civile di parità di comprensione linguistica. La democrazia dovrebbe partire anche da questo. Vero è che resta assoluta la libertà di scegliere – a seconda del contesto e del proprio sentire – un lessico più o meno formale, colto o incolto, ricco di forestierismi o più puramente italiano. Eppure, chi governa – e di riflesso chi ricopre i ruoli di operatore della comunicazione – dovrebbe tenere a mente, di continuo, un impegno tanto ovvio quanto indispensabile: farsi capire.

Di seguito sono riportati, in ordine sparso, alcuni prestiti ritracciati tra le pagine di quotidiani nazionali nella settimana che va dal 9 al 16 Novembre 2012.

Spending rewiew: revisione della spesa pubblica.
(Credit) Spread: differenziale tra il tasso di rendimento di un’obbligazione e quello di un altro titolo preso a riferimento.
Austerity: austerità, in riferimento alle politiche di taglio delle spese pubbliche al fine di ridurre il deficit pubblico, attraverso la riduzione dei servizi pubblici e l’aumento delle tasse.
Welfare State: Stato sociale, in riferimento al sistema normativo con il quale lo Stato traduce in atti concreti la finalità di ridurre le disuguaglianze sociali.
Election day: giorno elettorale.
Choosy: pignolo, esigente, incontentabile.
Premier: presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana.
Deficit: situazione economica di un’impresa nella quale i costi superano i ricavi, o di un ente pubblico nel quale le uscite superano le entrate.
Holding (company): società che possiede azioni o quote di altre società.
Joint venture: società mista.
Antitrust: in riferimento all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Blue chip: società ad alta capitalizzazione azionaria.
Exit poll: sondaggio all’uscita, un sondaggio effettuato all’uscita dei seggi elettorali tra i votanti a un’elezione.
Question time: fase dei lavori di un’assemblea parlamentare, nella quale vengono illustrate una serie di interrogazioni parlamentari già presentate e a cui viene data risposta in aula dall’organo esecutivo.
Bipartisan: al di sopra delle parti.
Devolution: devoluzione, decentramento, trasferimento delle competenze e dei poteri dalla sede del governo centrale verso le sedi dei governi locali o periferici.
Stock: quantità di merci o di materie prime giacenti in un magazzino.