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“Ma che tenimmo ‘a Kabaret”, il laboratorio pratico di cabaret che combatte la comicità televisiva

di Stefano Santos

Fornire ai giovani aspiranti comici una vetrina in cui essi possano mostrare le proprie qualità e contemporaneamente dare loro la possibilità di essere seguiti nei momenti precedenti all’esibizione sono tra gli obiettivi principali che si pone la rassegna comica “Ma che tenimmo ‘a Kabaret”, presentata nella sua prima edizione martedì scorso al “Tuca Tuca Club” di Napoli (via Mattia Presti, 2 angolo via Scarlatti 211). La rassegna diretta da Lucio Ciotola e Marco Cristi, entrambi esponenti della scena comica napoletana – il primo attore teatrale e televisivo (“No grazie, il caffè mi rende nervoso” al fianco Massimo Troisi e Lello Arena), il secondo cabarettista di lunga esperienza, con alle spalle un’intensa attività dal vivo – e dalle cui parole si ricava un quadro più completo dell’iniziativa.
Questa nasce dalle ceneri del “Premio Renato Rutigliano – Cabarettiamo”, dedicato alla memoria dell’attore napoletano membro del duo “I sadici piangenti” assieme a Benedetto Casillo e organizzato a partire dal 2003 dallo stesso Ciotola.
La rassegna si pone principalmente come un “laboratorio pratico di cabaret”, in cui i partecipanti – aspiranti cabarettisti, attori comici e autori – vengono guidati a ottenere dal proprio testo umoristico originale una buona esibizione, che risiede infatti nello sfruttare al meglio il tono di voce, le cadenze particolari, le pause e il linguaggio del corpo, che poi verrà messo alla prova negli spettacoli, che si terranno di regola ogni martedì, da Novembre fino a Maggio. Saranno valutati da una giuria “tecnica” e una “popolare”, le quali andranno di volta in volta a selezionare i partecipanti, fino alla scelta dei vincitori, con i primi tre classificati che verranno premiati con 500, 300 e 200 euro, e l’autore del testo migliore con 250 euro.
L’obiettivo è quello di dare la possibilità ai giovani di uscire dai confini campani senza il supporto della televisione, ritenuta dannosa e creatrice dei “mostri” che sono soltanto “simboli”, in cui rispetto all’abilità propria dell’autore, conta principalmente il tormentone che essi riescono a far entrare nella testa delle persone, a causa dei tempi ristretti generalmente concessi ai comici e per la maggiore riconoscibilità ottenibile, situazione che tuttavia rischia di essere una fiamma che si spegne in fretta, determinando così una crisi del cabaret. Ed è a questa crisi che “Ma che tenimmo ‘a Kabaret” tenta di rimediare.