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Thank you, Brubeck

di Lisa Davide

Nel monologo intitolato “Novecento”, Alessandro Baricco scrisse: “Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano? I tasti finiscono! Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei infinito. E dentro quegli 88 tasti, la musica che puoi fare è infinita.” E aveva ragione perché Dave Brubeck, il celebre pianista statunitense scomparso il 5 dicembre scorso alla vigilia del suo 92° compleanno, è riuscito a scrivere e suonare musiche infinite ed eterne. Quando si parla di Brubeck non si può parlare solo di musica; nella sua essenza, infatti, il suo modo di suonare ha reso labile persino il confine tra la musica e la poesia con brani come “Maria”, “Stardust” e “Thank you”. L’immensa espressività del suo pianoforte è penetrata per svariati decenni nei pensieri e nelle emozioni dei grandi musicisti come dei piccoli appassionati di musica che lo hanno ascoltato con le radio ed i dischi, in tutto il mondo. Con gli oltre cinquanta album pubblicati ed i suoi circa sessant’anni di storia il Dave Brubeck Quartet, il quartetto che, formato inizialmente da Dave Brubeck, Paul Desmond, Bob Bates e Joe Dodge, rese al pianista americano la sua grande fama, ha regalato alla storia della musica jazz incredibili lezioni di stile e tecnica, intrecciati con eleganza ed inconfondibile originalità. Il D.Brubeck Quartet irruppe nell’affollata scena del jazz americano degl’anni ’50 con l’album “Time out” (1959) che riuscì a vendere in pochissimo tempo oltre un milione di copie, raggiungendo un record mai conseguito prima nella storia del jazz. Ciò si può spiegare considerando che l’album conteneva lo straordinario “Take five”, un standard jazz che seguiva una metrica in 5/4, e l’appassionante “Blue rondò à la turk”, uno standard di Brubeck eseguito in 9/8. Nonostante il quartetto abbia cambiato spesso la sua formazione, il grande pianista è stato una presenza costante ed ha mantenuto sempre intatto il suo ruolo di divulgatore del jazz, sostenendo quella che ora si può definire la contaminazione tra generi di musica diversi. Proprio questa sua innovativa interpretazione gli ha mosso contro molte critiche provenienti dagli ambienti che invece sostenevano una visione assolutamente unilaterale del jazz afroamericano. Tuttavia restano indiscutibili il suo talento, la qualità d’interpretazione e l’eccellente tecnica. Ed anche se oggi dobbiamo dire addio alle sue performances, alle sue mani di farfalla e al suo simpatico sorriso, mai sarà possibile congedarci dalla sua musica. Thank you, Brubeck.