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“La migliore offerta”: un Tornatore all’americana, sofisticato e manierista

tumblr_mg1s1yXLSM1qzhj6ho1_250di Marco Chiappetta

TRAMA: Virgil Oldman (Geoffrey Rush), colto ed elegante uomo di mezz’età, antiquario e celebre direttore di una casa d’aste internazionale, che ha fatto la sua fortuna con il furbo aiuto dell’amico Billy (Donald Sutherland), è incuriosito dal patrimonio che la giovane Claire (Sylvia Hoeks) intende vendere, ma ancora di più dalla ragazza in questione, chiusa segregata in una stanza della sua villa per agorafobia. A poco alla volta, col pretesto di incontri di lavoro, tra i due, separati da una porta, si crea una complicità, speculare e profonda, che può portare finalmente la giovane a uscire dalla zona d’ombra e angoscia della sua vita, e forse anche Oldman dalla sua esistenza rigida e in naftalina. Nel “corteggiamento” lo aiuta il giovane abilissimo restauratore Robert (Jim Sturgess).
GIUDIZIO: Decimo film di Giuseppe Tornatore, con affiatato cast internazionale e il solito Ennio Morricone alle musiche, è un film elegante e sofisticato come l’ambiente che racconta, come il suo protagonista e i suoi abiti, come gli arredamenti di classe dei vari set europei (Trieste, Bolzano, Roma, Milano, Parma, Vienna, Praga) che ricreano una città immaginaria mai definita, e come sempre ineccepibile per ritmo, stile classico e raffinatezza: ma parafrasando il personaggio di Geoffrey Rush (peraltro ancora una volta bravissimo), in un’opera falsa si riconosce sempre qualcosa di vero. Qui è il contrario. Di vero – cioè d’autore, personale – c’è l’umanità poetica dell’incontro di due solitudini simili, di due ombre prigioniere nelle paure e nel distacco, nella ricchezza sfrontata e nel vuoto che l’amore per l’arte non può colmare. Tornatore, abbandonate nostalgie e autoreferenzialità sicule, si dà al film di genere: la mano è certo sua, anche troppo, tanto che il film più che di Tornatore, sembra “alla” Tornatore. La macchinosa impennata thriller all’americana, con proverbiale finale sorprendente da “con-movie” (i film di truffa, alla “Ocean’s” per intenderci), in una commedia amara e romanticheggiante, figurativamente ricca e intelligente, sembra infine rivelare, oltre al nostro stupore, il senso di tutta l’opera, pensata più per divertire le teste di un grande pubblico già abituato a storie simili che per toccare il cuore di un solo spettatore, alle prese con il non usuale ambiente di aste e antiquari. Un buon compromesso tra cinema grande e cinema piccolo.
VOTO: 3/5