Anno Zero. I Maya hanno fallito e, così, l’economia festeggia. Le Borse hanno ricevuto con un po’ di ritardo il regalo di Natale, quest’anno. Ma infine è arrivato: lo spread è scivolato a 283 punti il 2 gennaio 2013, verso ora di pranzo. Tutto il mondo ha festeggiato quello che sembrava un sogno, compresa l’Italia. Nel Belpaese, il più contento era senza dubbio il Presidente del Consiglio: il premier Mario Monti – il quale si è dimesso il 21 dicembre, e che ha dato il via alla sua campagna elettorale a partire dal giorno di Natale – ha coronato il percorso istituzionale riuscendo a dimezzare il differenziale rispetto a come lo aveva trovato. “Abbiamo salvato l’Italia” ha cinguettato il capo del governo dimissionario allo scoccare della mezzanotte durante la cena della Vigilia, inaugurando così la sua stagione ufficialmente politica, e non più mediata dal tecnicismo di cui era stato insignito tredici mesi prima. L’abbassamento dello spread è stato il coronamento della sua candidatura che si è lasciata attendere per lungo tempo. Il giorno dopo la fine della tempesta per le Borse, quasi tutti i giornali del mondo hanno titolato la “prima” notizia dell’anno sottolineando lo stanziamento del differenziale sotto la “soglia Monti” – ovvero a 287 punti, di per sé già un’utopia per l’economia dal 2010 – confermando il Professore come la definitiva preferenza delle Cancellerie di tutta Europa (e non). Da 574 a 283: diretto e firmato Mario Monti (ma con il timbro della Casa Bianca e il fiscal cliff). Certo, c’è da considerare il grande ruolo avuto da Mario Draghi e non sono da sottovalutare i cambiamenti politici dell’ultimo anno (Hollande al posto di Sarkozy in Francia, Obama confermato in America) e il tanto difficile scendere a patti della Merkel. Ma Monti è stato impeccabile con la dieta ferrea per gli italiani. Il più grande risultato economico-politico degli ultimi due anni si consacra, quindi, come il sarto migliore per la campagna elettorale dell’inquilino di Palazzo Chigi. La discesa in campo può iniziare. Siamo nel pieno della sfida tra i tre poli principali, ovvero le tre P (i progressisti del Pd, i popolari del Terzo Polo e i populisti del Pdl e della Lega), che si giocano presenze in tv, in radio e sui cartelloni di tutte le città promuovendo la loro agenda. Bersani conduce la sua candidatura con la calma che gli è propria, promuovendo la veste rinnovata del Partito democratico con i suoi famosi “fatti” (candidature, primarie, viaggi presso leader all’estero) e lasciando che gli sfidanti cuociano nel loro brodo. Forse un po’ troppo rilassato per non dimostrare quell’agitazione che servirebbe per la grande precarietà che si prospetta al Senato e un’ampia e pericolosa percentuale di astenuti alle ultime elezioni regionali in Sicilia, non considerando i votanti per il M5S poiché privi di un leader ora ritrovato nel Professore. Scelti i candidati, dichiara che “la campagna elettorale può avere inizio”, ma forse con un po’ troppo ritardo. Per quanto riguarda Berlusconi, il Cavaliere sfoggia tutto il suo potere mediatico presentandosi nella maggior parte delle trasmissioni televisive nazionali, e negando, promettendo, rinnegando chiunque e qualunque cosa (anche lo stesso Monti, prima invitato alla candidatura come premier con i “moderati”, poi – dopo il rifiuto del Professore – denigrato quasi fosse il diavolo). Il patto con la Lega di Maroni, però, è un punto che potrebbe seriamente complicare la vita al prossimo governo, il quale dovrà confrontarsi con una pericolosa offensiva marchiata Seconda Repubblica nel caso alcune delle regioni chiave (Lombardia, Sicilia, Veneto, Lazio) si consacrassero all’asse Pdl-Lega. Infine c’è Monti, che infondo qualcosa del diavolo ricorda: a partire dall’innascondibile superbia e presunzione delle sue scelte sul suo futuro politico, prese con l’alterigia ben dissimulata dalla sobrietà e dall’inconfondibile stile da primo della classe, il quale però non gli servirà molto nei calcoli non solo più tecnico-economici ma anche politici e per i quali c’è bisogno di una sorta di malizia che si acquista spesso vendendo la propria anima. E poi come non pensare all’immagine biblica della caduta di Lucifero, l’angelo che ribellatosi a Dio fu catapultato al centro della Terra, e lì eternamente bloccato. Non me ne voglia ogni cristiano per l’accostamento tra il Padreterno e il Presidente della Repubblica, ma il riferimento biblico pare fatto a posta per l’attuale situazione. Il progetto che Napolitano ha arditamente tentato di portare al termine, consegnando alla fine dei suoi sette anni anche il suo successore, si è sgretolato con un atto quasi di ribellione da parte dell’ex rettore della Bocconi. Il Capo dello Stato aveva infatti sostenuto l’incandidabilità di Monti poiché già “senatore a vita”. La solita legittimità e sobrietà con cui il premier ha agito non permette revoche o contraddizioni; ma di certo non evita l’assenza di consensi – non palesati per il ruolo super partes – del Presidente della Repubblica. Gli intenti di Monti per un suo futuro governo 2013 sono simili a quelli del centrosinistra, il quale però avvolge una manciata di equità che – seppur nei piani programmatici del candidato di Centro – il Professore avrà difficoltà ad applicare per il ventaglio di voti che i maggiori sostenitori del suo programma riescono ad avere. Insomma, il vestito da 283 punti che il risultato nelle Borse gli ha cucito addosso, potrebbe non bastare al premier: adagiandosi troppo in poltrona potrebbe metter su qualche chilo e dover andare in giro con pantaloni e giacca bucati. D’altronde è stato chiaro: “Non farei il ministro per un altro premier”. Nonostante tutto, però, anche se con le dovute differenze, sembra di star ripercorrendo le elezioni del 1948, quando il PCI e il PSI avevano praticamente la partita in pugno e persero contro la DC di De Gasperi che si aggiudicò molti di quegli astensionisti, poiché senza partito. Insomma, la partita è aperta e ci saranno probabilmente molte sorprese fino al 24 e il 25 febbraio. La cosa sicura è che “vestire” solo di spread potrebbe nel frattempo diventare fuori moda: alcuni cinguettii di ritorno per poco prima della primavera canticchiano motivetti conservatori del vecchio est.
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