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Jeff Buckley: l’ingiusto paradosso del poeta maledetto

jeff_buckleydi Giacomo Palombino

Era il maggio del 1997 quando un’ormai celebre Jeff Buckley, dirigendosi verso il suo studio di registrazione, decise di immergersi nelle acque di un affluente del Mississippi, nome spesso abbinato a geni della musica blues. E proprio quelle acque se lo portarono via, mentre, alcuni dicono, Buckley cantava “Whole lotta love”, celebre brano dei Led Zeppelin.
A differenza del padre Tim (cantautore in attività negli anni Sessanta), Jeff raggiunse i grandi palcoscenici in un momento più complesso, a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta, periodo di straordinario interesse, ma che subiva il forte peso di una stagione in cui molto era già stato scritto e suonato, e numerosi eroi ed idoli del rock avevano già raggiunto la fama. Prima della morte, infatti, il suo maggior successo lo ebbe in Francia e Australia, lontano, ma non troppo, dagli altari sacri degli Stati Uniti e della Londra più prolifica.
La scomparsa, così come per tanti altri artisti provenienti dalla musica, dal cinema o dalla pittura, è stata per Jeff Buckley la definitiva consacrazione: al pari di Kurt Cobain, Jim Morrison, Jimi Hendrix, il cantautore viene inserito nella lunga ma esclusiva lista di quei poeti maledetti che a suon di accordi sono riusciti a catturare le masse, facendolo in maniera ancora più forte da morti che da vivi. Certo, è un ingiusto paradosso, ma la storia spesso dà valore ai propri protagonisti nel momento in cui questi sono troppo lontani per poter godere dei propri applausi. Oppure, ed è questa la visione che bisogna prediligere, abbastanza lontani per non vedere svanire i propri applausi.
La critica continua ancora oggi ad omaggiare il genio statunitense: Rolling Stone ha inserito il suo “Grace” alla posizione numero 304 della classifica dei 500 migliori album di sempre, numero di graduatoria che guadagna consensi se si pensa che a fiancheggiarlo ci sono nomi come quello di Bob Dylan e dei Beatles (rispettivamente gli album sono “John Wesley Harding” e “A hard day’s night”)
È questo un breve omaggio a Jeff Buckley, artista che ha vissuto abbastanza poco per entrare a far parte dell’Olimpo dei poeti maledetti.