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“I racconti dell’oltre”/4

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di Brando Improta

Quando uno scrittore si appresta a scrivere un ciclo di racconti il suo entusiasmo andrà in decrescendo: al primo dedicherà molta attenzione per cercare di fidelizzare qualche lettore; con il secondo cercherà di alzare i toni dell’intreccio; al terzo si dilungherà vedendolo già come un canto del cigno. E il quarto ? Il quarto tenderà a tirarlo via, perché non ha bisogno di incuriosire altre persone, che lo leggano in tre o in trecento quello sarà comunque l’ultimo del ciclo. Così spesso quando può si appropria di argomenti da lui già sentiti in precedenza, li assimila e cerca di riproporli sotto un’altra veste. Giusto per non sforzarsi più di tanto. Ed è questo l’argomento che affronteremo per quest’ultimo racconto.

“La legge non scritta”

Tutti gli scrittori lo sanno: non si copia qualcosa che esiste già.
Può essere un altro libro o racconto, la scena di un film, la “trama” di una canzone o un intreccio narrativo di qualsiasi tipo. Fa parte del gioco, è una legge non scritta, ma tutti gli scrittori sanno che è moralmente sbagliato e artisticamente degradante riciclare un’idea non propria. Certo, se si scrive un racconto di genere fantascientifico, difficilmente non potranno esserci astronavi, e le astronavi saranno già state utilizzate in migliaia di altri racconti simili. Ma quello è permesso. Spaziare all’interno di un genere letterario è fin troppo giusto. Ma copiare un concept, un’idea, uno spunto, è assolutamente vietato.

Come tutti i suoi colleghi, anche Ernesto lo sapeva, eppure stava per violare quella legge. Il suo compito per quel mese era di scrivere quattro racconti noir per una rivista. Uno a settimana. Tre erano già stati pubblicati e ora, a poco dalla consegna, mancava l’ultimo.
Tante idee gli sfiorarono la mente, ma nessuna gli sembrava veramente valida. L’unica che gli accarezzava davvero la fantasia l’aveva sentita in un film. Era una breve racconto fatto da uno dei protagonisti di “Dead Poets Society”, una piccola perla di macabro in un film dal tono drammaticamente delicato.
Certe cose si insinuano nella testa. Sicuramente aveva avuto altri spunti notevoli, migliori anche di quello già sfruttato nel film, eppure quello ormai gli sembrava superiore a qualsiasi cosa potesse mai pensare. Sapeva di non potere usarlo, era già stato usato. Malediceva il fatto che qualcun altro, prima di lui, avesse avuto quell’idea. Sembrava proprio un raccontino che poteva uscire dalla sua mente, peccato che proprio quel raccontino fosse uscito dalla casa madre sbagliata molto tempo prima.

Ernesto pensò ancora un giorno al racconto che doveva scrivere, ma ogni neurone cercava di riportarlo sempre al punto di partenza: doveva plagiare la storia che aveva sentito raccontare in quella pellicola. E la maledizione? Cosa avrebbe fatto con la maledizione? Tutti coloro che avevano usato pensieri altrui, anche i più piccoli, erano finiti male. Come i ladri materiali vengono puniti dalle leggi degli uomini, i ladri d’intelletto erano stati puniti dalle leggi divine. L’ultimo era stato proprio un suo amico, Gianni, che dopo aver trovato un manoscritto non ancora pubblicato, lo aveva ricopiato al computer. Il plagio era stato pubblicato. Nessuno sapeva o poteva sapere che non era farina del suo sacco, eppure dopo un mese Gianni era stato investito da un’auto.
Superstizione da scrittore? Probabilmente. Coincidenza? Nient’affatto. La storia della letteratura, piccola o grande, era piena di esempi del genere.

L’idea però non lo abbandonava, lo tormentava. Voleva raccontare ancora quello che era già stato raccontato, e non perché non riuscisse a partorire nulla di nuovo. Semplicemente riteneva che quell’intreccio fosse sprecato in quei due minuti di film e aveva bisogno di uno spazio tutto suo.
Lo spazio da protagonista che si richiedeva per una storia di tale arguzia.
Il tempo della consegna volgeva al termine e così, la decisione fu presa: avrebbe inserito il plagio all’interno di un contesto completamente diverso, così nessuno se ne sarebbe accorto. Avrebbe creato una cornice ad una storia già creata.

La storia raccontata nel film era questa: una signora sta completando un puzzle; quando l’immagine inizia a delinearsi scopre che la figura rappresenta il suo salotto. Negli ultimi tasselli riconosce sé stessa intenta a completare il puzzle, dietro di lei nell’immagine vede nitidamente un uomo che la spia da una finestra. Sente un rumore di vetri infranti, si gira e un uomo entrato dalla finestra la uccide.

208506_207706705923610_186502614710686_720478_4579029_nTutto andava stravolto, bisognava far perdere le tracce di quella che era stata la fonte originaria. Decise di inserire riferimenti a quello che lui stesso aveva passato in quei giorni. La cosa lo divertiva, così iniziò a scrivere di uno scrittore che non sapeva cosa scrivere nell’ultimo racconto di un breve ciclo. Lo scrittore, nella sua storia, decideva di riprendere una piccola novella sentita in un film. La ampliava, così come faceva lui stesso scrivendo, aggiungendovi una cornice simile a quello che gli accadeva nella realtà dell’intreccio. E il finale? Nel finale deciso da Ernesto, lo scrittore moriva come la signora della storia che stava scrivendo il suo protagonista: un rumore di vetri infranti e poi il caos dell’aldilà.

Gli piaceva. A pensarci era un modo contorto di aggirare il plagio, ma intelligente almeno quanto la storia di partenza: se lì infatti vi era un disegno ripetuto all’infinito, qui c’era qualcosa di più. Una storia nella storia, che torna a scrivere sé stessa.
Ma quello che ad Ernesto sfuggì, fu che a volte i ladri materiali riescono a scampare alla loro punizione terrena, ma i ladri d’intelletto no. Quelli che rubano le idee al prossimo (o in questo caso, a chi è venuto prima di lui) saranno sempre scoperti e raggiunti da una sorta di divino contrappasso.
Qualche volta era un incidente a toglierli di mezzo, qualche altra rimaneva nell’anima un sentimento di menzogna da poter condividere solo con sé stessi, altre ancora accadeva qualcosa di inspiegabile.
Ernesto consegnò il suo racconto: fu pubblicato tre giorni dopo e ai lettori della rivista piacque molto.

Tornava a casa dopo una lunga passeggiata distensiva e, senza sapere perché (e senza collegarlo minimamente a ciò che aveva fatto), comprò un puzzle lungo la strada.
Era sera, Ernesto si apprestava a finire il puzzle comprato quel giorno. Più vedeva la figura che andava ricomponendosi e più fu convinto di sognare: era il suo salotto. La scena riprendeva fedelmente quello che lui stava facendo nella realtà.
Mancavano solo due pezzi, eppure non aveva il coraggio di incastrarli con gli altri. Sapeva già cosa avrebbe visto, era inutile rifuggire la realtà, quello che doveva accadere sarebbe accaduto lo stesso.
Ernesto mise gli ultimi due pezzi, e da quelle piccole tessere vide l’uomo dietro la finestra osservarlo con furore. Poi ci fu un rumore di vetri infranti, infine fu l’oblio.

Credo ci sia una morale in tutto questo. Ma aspettate un attimo, ho sentito un rumore di vetri venire dal salotto. Spero solo che il cane non abbia rovesciato il tavolino sul quale stavo facendo il puzzle. Sono oltre duemila pezzi ed è molto complicato. Vado a vedere. Torno subito.

“I racconti dell’oltre”/1

“I racconti dell’oltre”/2

“I racconti dell’oltre”/3