Los Angeles – Questo è stato l’anno delle seconde (o terze) volte. Premi sparpagliati democraticamente a tutti i film, senza un vero padrone, tra i nove candidati. Il premio del miglior film, annunciato dal redivivo Jack Nicholson e da Michelle Obama in diretta dalla Casa Bianca con tanto di valletti al seguito, va ad “Argo”, uno dei thriller più originali e sorprendenti degli ultimi anni, basato su un fatto di cronaca degli anni ’70 e girato proprio con quello stile nervoso: seconda volta di Ben Affleck (premiato per la sceneggiatura di “Will Hunting”), e del produttore George Clooney (premiato già come attore non protagonista per “Syriana”), associato come sempre con Grant Heslov. Il film di Ben Affleck, ormai eletto giustamente nell’Olimpo dei grandi, vince altre due statuette, per la sceneggiatura non originale (Chris Terrio) e montaggio (William Goldenberg). A fronte di 12 nomination, il pomposo “Lincoln” di Steven Spielberg ottiene la scontata statuetta per il miglior attore protagonista, Daniel Day-Lewis, che riceve il premio da Meryl Streep di cui ora eguaglia il record di Oscar vinti (tre, nella categoria maschile quanto Jack Nicholson e Walter Brennan), e una statuetta, consolatoria, per la scenografia (Rick Carter, Jim Erickson), strappata a sorpresa a “Les Miserables”. Il bel musical di Tom Hooper rivive sul palco del Kodak Theatre con l’intero cast che canta “One More Day”, e sono di nuovo momenti di grande poesia: le statuette, meritatissime, sono per Anne Hathaway migliore attrice non protagonista, trucco e suono. Un grande trionfatore della serata è Ang Lee, meritatissimo premio per la miglior regia (vinse già in questa categoria per “I segreti di Brokeback Mountain”, oltre al film straniero “La tigre e il dragone”), di quel meraviglioso “Vita di Pi”, partito un po’ in sordina, e vincitore acclamato dei premi per la colonna sonora (Mychael Danna), fotografia (Claudio Miranda) ed effetti speciali.
Alla sua seconda nomination, la giovane Jennifer Lawrence vince il premio per la miglior attrice protagonista nella commedia drammatica “Il lato positivo” (in Italia dal 7 marzo), dimostrando quanto il regista David O. Russell porti bene ai suoi attori (Christian Bale e e Melissa Leo trionfarono nel suo “The Fighter”).
Nel 50° anniversario di James Bond, c’è spazio anche per “Skyfall”, un ottimo 007 d’autore firmato Sam Mendes, che porta a casa le statuette per il miglior montaggio sonoro (ex-aequo, storico, con “Zero Dark Thirty”) e soprattutto per l’omonima canzone firmata Adele, chiamata a cantarla sul palco.
Dopo l’exploit al festival di Cannes, “Amour” di Michael Haneke, storia gelida e asfissiante sull’amore senile, porta a casa la prevedibile statuetta al miglior film straniero, portando ancora di più alla ribalta il cinema europeo, e soprattutto francese, con le nomination alla regia, sceneggiatura, film assoluto e attrice protagonista (Emmanuelle Riva, la più anziana della storia, che oggi proprio compieva 86 anni), fenomenali e forse eccessive per un regista, Haneke, non proprio per tutti i palati, ben che meno quelli hollywodiani.
Non porta nulla a casa, e inutile sperarlo, il piccolo “Re della terra selvaggia”, che con 4 nomination importanti (regia, sceneggiatura, film, attrice protagonista Quvenzhané Wallis, la più giovane candidata della storia a soli nove anni), dimostra l’attenzione, forse un po’ mediatica e intellettualistica, che l’Academy sta cercando di riservare alla crescente industria del cinema indipendente americano. Una sorte simile la ebbe due anni fa “Un gelido inverno”: chi lo ricorda ora, se non solo per aver fatto conoscere Jennifer Lawrence?
Nella sezione animazione, trionfa il cortometraggio “Paperman” e nel lungometraggio, discutibile scelta, l’ultimo film Pixar “Brave”, negando a Tim Burton di vincere un premio che il suo geniale, anticonformistico “Frankenweenie” avrebbe meritato. In coda, migliori costumi quelli di “Anna Karenina”, miglior documentario “Searching for Sugar Man”, miglior corto documentario “Inocente”, miglior corto di finzione “Curfew”.
Nella serata un po’ banalotta, con pagliacciate solite (quella di Michelle Obama che annuncia il miglior film, è un’americanata che solo Hollywood poteva immaginare), fa da mattatore un presentatore, il Seth MacFarlane padre dei Griffin e dell’aberrante “Ted” (l’orsacchiotto farà una comparsata con l’amico Mark Wahlberg), soggiogato al politically correct, fighetto e cordialmente antipatico. Salvano il tutto memorabili momenti musicali: oltre a “Les Miserables” e “Skyfall”, si ricordano “Dreamigirls” e “Chicago”, a dieci anni dal suo successo, e con una Catherine Zeta-Jones in piena forma, come del resto la settantaseienne Shirley Bassey che in onore a 007 canta come una diva immortale la sua hit “Goldfinger”, senza dimenticare il ricordo a Marvin Hamlisch, da poco scomparso, con Barbra Streisand che cita e canta le note del film “Come eravamo”.
Premi giusti, democratici, inoppugnabili, ma se si onorano i vinti, andrebbero glorificati anche i dimenticati. Avrebbero meritato di più Leonardo Di Caprio, assurdamente lasciato fuori dalla lista dei migliori attori non protagonisti, e lo struggente film francese “Un sapore di ruggine e ossa” di Jacques Audiard che, come a Cannes, si è visto prevalere un film elitario e pesante come “Amour”: la sua splendida protagonista, Marion Cotillard, che oltre a recitare con gli occhi recita senza gambe, avrebbe meritato al minimo una presenza simbolica. Se poi si dovesse far nota di come “Il cavaliere oscuro – Il ritorno” di Christopher Nolan mancasse persino nelle categorie tecniche, Tarantino non fosse presente tra i cinque migliori registi, e due film di successo come “Argo” e “Les Miserables” non abbiano visto riconosciuto i talenti dei loro registi (a favore delle generose candidature a Zeitlin e Haneke), lasciano ancora capire che l’Academy per voler sempre stupire, sa anche sempre deludere.
Tra le freddure, sfilate, frivolezze, artificiosità varie, siparietti soliti, spiccano solo la camicia slabbrata con cravatta al diavolo di Tarantino, gli sbuffi dell’outsider Joaquin Phoenix che odia convenevoli e competizioni, e la commozione di gente abituata al successo ma non alla presunzione come Ben Affleck, Ang Lee e Daniel Day-Lewis, sono queste le immagini dei veri geni e del cinema che emoziona.