Quanti italiani, il mese scorso, si sono recati alle urne credendo che il fondo fosse ormai stato toccato: non restava dunque che risalire. Dopo tre anni di crisi politica ed economica interminabile, sfociata in un’agonizzante governo tecnico lungo un anno, le elezioni legislative parevano essere l’occasione perfetta per ripartire. Eppure, come i proverbi spesso insegnano, al peggio non c’è mai fine. Nel corso dell’ultimo mese si è assistito prima ad uno “stallo alla messicana” tra Pd, Pdl e M5s, dovuto ai risultati delle elezioni che hanno letteralmente spaccato il Parlamento e compromesso la nascita del governo; poi all’occupazione del tribunale di Milano da parte di parlamentari del Pdl, accorsi in massa in difesa di Berlusconi – in vista delle imminenti sentenze relative ai suoi processi – e generando uno scontro tra istituzioni senza precedenti; infine, la disputa tra le varie forze politiche in Parlamento sulla nomina dei Presidenti di Camera e Senato, con il M5s arroccato a difesa delle proprie scelte e il Pd nella difficile posizione di presentare candidati che incontrassero il parere favorevole di montiani e grillini. Tutti gli ingredienti perché anche questa nuova puntata della politica italiana si risolvesse in un pasticcio. Eppure, come cantava un poeta, “è sempre dal letame che nascono i fiori”. E dunque, da una situazione politicamente e storicamente difficilissima, resa ancor più cupa dai recenti avvenimenti, ecco che le nomine di Pietro Grasso a Presidente del Senato e di Laura Boldrini a Presidente della Camera appaiono quasi come un lampo di ottimismo. L’ascesa alla terza e alla seconda carica dello stato da parte, rispettivamente, di un deputato e di un senatore alla loro prima esperienza politica, forti di un passato professionale riconosciuto da tutti e sottolineato e rivendicato nei rispettivi discorsi d’insediamento, lascia ben presagire per il futuro di questa legislatura.
La Costituzione riconosce ai Presidenti di Senato e Camera i ruoli, rispettivamente, di seconda e terza carica dello Stato. E’ logico quindi presumere che ad essere investiti di simili funzioni debbano essere cittadini – prima ancora che politici – di specchiata moralità ed assoluta competenza. La Camera e il Senato sono i due rami di quella “comune casa politica che è il Parlamento” – come giustamente ricordava Grasso – ed è giusto che a presiedere ad essa siano una donna che ha speso la sua vita in favore dei più deboli ed emarginati nelle stanze dell’Onu, oltre che un magistrato che si è contraddistinto negli ultimi anni per il suo ruolo all’Antimafia. Ancora più importante è il fatto che in occasione dell’elezione di Grasso siano stati determinanti alcuni voti provenienti dal M5s, a testimonianza che in questo caso il Pd e Bersani hanno visto giusto nel voler scegliere tra le propria fila candidati tra i più autorevoli possibili. Appunto da fare è che, ancora una volta, non è stata rispettata la tradizione repubblicana che vorrebbe uno dei due Presidenti indicato della maggioranza, mentre l’altro proveniente dalle fila dell’opposizione. Anche nell’ultima legislatura si è avuta una situazione analoga, quando cioè fu la coalizione vincente di centrodestra ad eleggere i Presidenti di Camera e Senato. In quel caso, però, si trattò di un atto arrogante, di una vera e propria imposizione dovuta a logiche di potere, spiegabile sopratutto se si tiene conto del fatto che spetta ai due Presidenti eleggere i membri di importanti autorità amministrative come il Consiglio di amministrazione della RAI oppure il Consiglio di presidenza della Corte dei Conti. In questo caso, invece, sono state le altre forze politiche a non volersi assumere l’onere di presentare candidati all’altezza. Anche questo può essere interpretato come un atto di disinteresse, come la volontà di non volersi impegnare davvero per ricostruire un’idea politica comune. E’ importante che tutti i protagonisti presenti in Parlamento agiscano di concerto, sforzandosi di collaborare laddove sia possibile per il bene del Paese.
Le nomine di Boldrini e Grasso rappresentano dunque un motivo di soddisfazione e orgoglio, ma ancor di più una fonte di riflessione sul fatto che, tranne il Pd, nessun’altra forza politica ha avuto il coraggio o la possibilità di indicare personalità altrettanto qualificate. A vincere non sono stati i più forti, bensì i migliori. Ecco dunque l’eterno dilemma della politica italiana: la questione morale e la rinascita delle istituzioni non possono essere appannaggio solo di un partito che, ai dati attuali, rappresenta a stento un terzo degli italiani e che è comunque lacerato da dissidi interni e problemi di varia entità. Al Parlamento e al Paese servono sopratutto uomini, non solo idee, slogan e promesse.
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