Sabato si è compiuto il terzo atto, quello culminante, della rivoluzione targata Vaticano, iniziata più di un mese fa con l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI e proseguita con l’elezione del primo Papa latinoamericano, gesuita e Francesco della storia. Per la prima volta i due protagonisti si sono ritrovati insieme sul palcoscenico del mondo, per la prima volta un Papa è andato a far visita al suo predecessore e ha potuto abbracciarlo, parlargli, pregare con lui. Eccezionalmente la residenza pontificia di Castel Gandolfo, rifugio di nascondimento e preghiera per il Papa emerito, ha aperto le porte alle telecamere, che hanno catturato immagini destinate ad entrare nella storia. Nel spettacolo inaudito di un Papa che va incontro ad un altro Papa, nell’abbraccio fra questi due uomini vestiti di bianco, unica differenza fra loro la mantellina sulle spalle del pontefice regnante, prende forma plastica un paradosso con cui il senso comune ha dovuto fare i conti a partire da quell’11 febbraio in cui tutto è cominciato. È il paradosso dell’“ex Papa” o dei “due Papi”, che è dire la stessa cosa, e in termini logici si potrebbe esprimere pressappoco così: è il divenire attributo contingente e temporalmente determinato di ciò che fino ad ora era essenza intima, definitiva e necessaria di un certo qualcosa, la figura del Papa appunto. Ne ha parlato in maniera precisa e insieme estremamente chiara il teologo Vito Mancuso quando ha spiegato che con la rinuncia di Ratzinger si è aperta una nuova fase nella vita della Chiesa, in cui “essere Papa” e “fare il Papa” non saranno più la stessa cosa. Fino ad oggi questa differenza non esisteva, anzi, risultava assolutamente inconcepibile per l’intelletto, sia per quello cattolico che per quello laico. Nel calvario di Giovanni Paolo II l’immagine del Pontefice aveva toccato i livelli più alti di sacralità e trascendenza, l’“essere Papa” aveva celebrato i suoi fasti più solenni, anche a danno di tutto quel che dovrebbe significare “fare il Papa”: Wojtyla morì mentre era ancora Papa, ma ormai non lo faceva più da tempo. L’“ingravescens aetas” (per riprendere i termini dell’annuncio dell’11 febbraio) e il progressivo indebolimento fisico e psichico del Papa polacco gli avevano impedito, negli ultimi anni del suo pontificato, di governare veramente la Chiesa; e gli effetti purtroppo si sono rivelati in tutta la loro tragica realtà sotto il regno di Benedetto XVI, nella forma dell’immane scandalo pedofilia e delle lotte di potere che hanno dilaniato la Curia Romana.
Davanti a tutto questo, Ratzinger ha fatto una scelta diversa da quella del suo predecessore, ha avvertito di essere troppo anziano e debole per continuare a “fare il Papa” nella maniera che la risoluzione di quei problemi avrebbe richiesto; poco importava se la sua scelta avrebbe inferto un duro colpo a tutto ciò che “essere Papa” aveva sin qui significato, il bene della Chiesa prima della sua immagine. Lo scandalo c’è stato, qualcuno, come l’ex segretario di Papa Wojtyla, il cardinale Stanislaw Dziwisz, ha fatto notare, quasi a mo’ di rimprovero, che “dalla Croce non si scende”; qualcun altro, come il cardinale George Pell di Sydney, si è detto preoccupato per l’effetto “destabilizzante” che la scelta di Ratzinger potrà avere sul futuro del papato, esponendo i prossimi pontefici al rischio di pressioni e campagne diffamatorie finalizzate a farli dimettere. È difficile credere che un Papa razionale, un teologo oltre che un tedesco, come Ratzinger non abbia pensato a tutto questo nel momento in cui ha maturato la sua gravissima decisione. Eppure il suo è stato un atto di libertà, rivoluzionario come in pochi si potevano aspettare da un pontefice conservatore, quale Ratzinger è stato generalmente considerato; un atto di libertà che in qualche modo lo avvicina al “progressista” Carlo Maria Martini, anche lui papabile nel 2005, che si è spento nell’agosto scorso al termine di una lunga malattia, dopo aver rifiutato con decisione ogni accanimento terapeutico. Il no all’“accanimento terapeutico” pronunciato dal Papa emerito nel momento della sua rinuncia ha abbattuto numerosi tabù, l’ultimo dei quali è crollato con l’incontro paradossale di Castel Gandolfo, un incontro che proprio per la sua paradossalità si credeva sarebbe rimasto rigorosamente riservato. Così non è stato, e se l’abbraccio di Ratzinger e Bergoglio è stato trasmesso in tutti gli angoli della Terra allora vuol dire che lo shock è superato, che la gente ha capito e forse i primi ad aver capito sono proprio quelli del Vaticano. Chi temeva che d’ora in poi ci sarebbero stati due Papi ha dovuto ricredersi e a chi si è chiesto, davanti alle immagini dell’incontro, “quale dei due è il Papa?”, bisognerà rispondere: nessuno. Nessuno dei due è il Papa, ma ce n’è uno che fa il Papa e l’altro che l’ha fatto prima di lui. Anche i più burloni, che avevano ironizzato su una possibile crisi d’identità per i due signori vestiti di bianco al primo faccia a faccia, hanno avuto la loro risposta, non nelle parole però, ma nei gesti: Ratzinger fa segno a Bergoglio di sedersi sull’inginocchiatoio d’onore, Bergoglio lo invita a sedersi con lui allo stesso bianco perché “siamo fratelli”; consapevoli entrambi dei rispettivi ruoli, ma disposti anche a superarli in nome di quella carità che, quella sì, è fondamento perenne e immutabile della vita della Chiesa.
P.S. apprendo oggi che Magdi Allam, ex vicedirettore del Corriere della Sera, ha lasciato la Chiesa Cattolica e che fra i motivi della sua scelta c’è anche lo “shock” causato dalla presenza di due Papi. Non era questa la sede per trattare la questione, ma due paroline al Magdi (ex) Cristiano Allam vorrei dirle lo stesso. Mi propongo di farlo domani.
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