Un politico in un talent show: un pop-politico. Pensare che un rappresentate del vecchio parlamento italiano potesse così apertamente e con semplicità dialogare con orde di ragazzine e mamme accompagnatrici in uno studio televisivo, attirando l’attenzione di altrettante ragazzine e mamme catturate da canti e danze, magari di sabato sera senza che queste cambiassero canale, non è cosa da tutti. Forse è cosa solo di chi è pressappoco coetaneo con quelle mamme e padri che sacrificano serate intere perché le loro figlie e figli vedano il beniamino di turno dalla De Filippi. Solo chi un linguaggio come quello lo parla e cerca di parlalo in politica può probabilmente attrarre l’attenzione e così fare da ponte tra l’immagine della politica con la barba canuta e l’aria affaticata e quei ragazzi giovani che più che negli slogan politici si ritrovano nei testi delle canzoni dei vari cantanti popolari, che da anni calcano il palco dei talent show. In un paese come l’Italia, dove si grida allo scandalo per ogni gesto fuori misura ma dove non si riesce a prevenire niente, la scelta di Matteo Renzi di partecipare al talent show di Canale 5 condotto da Maria De Filippi, “Amici12”, è stata interpretata come rivoluzionaria. Questo perché il sindaco di Firenze li schemi li ha sovvertiti: non più esclusivamente salotti politici, ma un luogo dove essere più se stesso che dai vari Floris e Santoro di turno. Dismessi i panni del sindaco perfetto con la cravatta perfetta e il completo blu, Renzi si è presentato come un uomo di quasi quarant’anni senza voler sembrare troppo giovane né troppo vecchio. Giacca di pelle e parlantina naturale, così a nudo davanti a quel pubblico tanto snobbato da tutti perché così popolare. Un intervento di pochi minuti, in cui Renzi ha ricordato ai ragazzi di perdonare “i politici se fanno polemiche sui talent show”, ma di non perdonare “quei politici che vogliono cancellare il talento” perché solo la speranza nel futuro del nostro paese aiuterà quanti vogliono ancora sognare. Talento, speranza, futuro, le parole chiave per attirare i giovani che di speranza ne hanno persa, di talento ne hanno ma forse sembra essere sempre troppo poco e di futuro sentono parlare ma lo considerano un punto interrogativo troppo grande da affrontare. L’invito è a non farsi rubare la speranza e così introduce un richiamo apprezzatissimo alle parole pronunciate da un’altra figura così pop come quella di Papa Francesco: “Non fatevi rubare la speranza” aveva detto ai giovani di Piazza San Pietro. La speranza intesa non solo come speranza di qualcosa, ma come strada in cui si crede e per cui si combatte. La speranza a cui ha subito fatto riferimento il sindaco è quella dei sedici ragazzi dello show che vogliono “fare del loro talento la loro professione, quella di diventare un giorno magari dei cantanti o ballerini professionisti”. Speranza forse più sognatrice, da affiancare – ricorda Renzi – aquella nuda e cruda di “oltre 3 milioni di giovani che non trovano lavoro e ci sono giovani che non hanno facilità nel pensare di costruirsi un futuro”.
Parole forti per una prima serata di un talent show? Ecco il pregiudizio di chi forse, per troppo tempo, ha tralasciato l’incisività e la forza delle parole semplici in luoghi semplici e di chi ha preferito rilegare certe parole e certi argomenti a piazze “scelte”. Le parole “politiche” sono partite così da un palco inconsueto e questa possibilità fino ad oggi era stata sempre rigettata. Ma cosa vuol dire essere un politico popolare? Popolare, come aggettivo, denota qualcosa che è appartenente al popolo, alla massa, qualcosa che riguardi ed interessi la massa; popolare è ciò che gode il favore del pubblico. Eppure, con il passare del tempo, ha assunto un significato negativo: pressappoco proprio da quando quel pubblico è diventato “massa” e quindi massa informe e spesso senza un’idea precisa, che si ritrova così senza un pensiero specifico da inseguire. Per cultura “popolare”, così, si può intendere quella cultura che è condivisa dalle fasce sociali più ampie e trasmessa proprio dai mass media, quegli stessi mezzi di comunicazione che così tanto hanno influenzato la vita degli italiani e non solo, e che ora, a quanto pare, vogliano influenzare anche il linguaggio politico, rottamandolo, per usare una espressione cara al sindaco di Firenze.
Qualcuno, guardando Matteo Renzi sfilare nello studio di Maria De Filippi, ha storto il naso, interpretando l’intervento renziano come un sapiente colpo di teatro. Forse. Ben venga, però, il gesto popolare se questo vuol significare un ritorno alla politica del popolo, quella vicina al popolo, parlata dal popolo. La politica è del popolo, che in modo popolare comunica e vuole comunicare. E coloro che con questo popolo discutono, lo dovrebbero saper fare in modo semplice e limpido come sono le parole senza ulteriori sovrastrutture che caricano e appesantiscono i concetti.
Matteo Renzi ha parlato al popolo del sabato sera con una giacca stile Fonzie da “sabato sera” ed un sorriso da “sabato sera” ricordandosi, forse, che la politica che snobba non è politica perché lontana dal popolo.
Matteo Renzi oggi è un politico pop, che vuole vincere perché la sconfitta l’ha provata e racconta a quei giovani del talent e ai giovani che il talent lo vedono che “se c’è una cosa bella che ci aspettiamo da voi è di non fare come è stato fatto fino ad oggi dove troppo spesso si trovava lavoro non per il talento, ma perché si conosceva qualcuno, per le raccomandazioni”. E aggiunge: “Sarà un grandissimo momento quando questo paese sarà fatto da persone che vanno avanti con la forza del proprio sudore, anche prendendo qualche botta. Può succedere, a me è capitato di perdere”. E l’esempio più azzeccato per quel sindaco pop arriva proprio dalla sua Firenze: “Quando penso alla mia città, penso a un personaggio strano, a Brunelleschi. Un personaggio che tutti consideravano mezzo matto perché continuava ad avere il desiderio profondo di costruire una cupola come non l’aveva mai fatta nessuno”. La cupola a cui fa riferimento, naturalmente, è quella del Duomo di Firenze, la più grande cupola in muratura mai costruita. E Renzi precisa: “Era convinto che potesse stare in piedi. I fiorentini lo guardavano con la faccia un po’ schifata, ‘Guarda che tanto non ti starà in piedi’. Brunelleschi ha avuto il coraggio di insistere, di crederci”. E così il grande architetto di Firenze è diventato il simbolo di quella generazione che deve credere in se stessa e nel talento che ha, simbolo chiaro di uno stesso linguaggio ancora una volta popolare, fruibile e fruito dalla maggior parte di persone. Perché la buona politica, la bella politica parla il linguaggio universale delle idee credute e rincorse affinché possano diventare concetti reali.
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