Ricapitolando: è trascorso oramai un mese dalle elezioni e ancora non si hanno notizie di un probabile governo. Il Movimento 5 Stelle addirittura propone nuove interpretazioni della Costituzione, per cui non sarebbe necessario formare un nuovo governo quando è ancora in carica quello attuale presieduto da Monti, dal momento che è il Parlamento ad essere sovrano e ad esso spetta il potere legislativo senza riserve e senza limiti. Dunque, a detta di Grillo e compagni, il Parlamento può legiferare sin da subito su determinate materie senza che prima debba votare la fiducia ad un nuovo esecutivo. La soluzione appare senza dubbio ardita ed innovativa, eppure potrebbe essere utile laddove si volesse approvare una nuova legge elettorale senza prima passare per le forche caudine della fiducia al governo. Di certo non sarebbe un’ipotesi accettabile a lungo termine, poiché il governo esercita il potere esecutivo e dunque di fatto si occupa di rendere applicabili le leggi. Oltretutto, i ministeri rappresentano i vertici apicali dei singoli rami in cui si sostanzia la pubblica amministrazione con i suoi relativi apparati burocratici. Se dunque il Parlamento esercita il potere legislativo in rappresentanza del popolo, cui spetta la sovranità, il governo è invece titolare di un diverso e non meno importante potere: quello di attuare la volontà del Parlamento e, di riflesso, quella popolare.
Il problema non è quindi chiedersi se un governo debba esserci o meno, piuttosto si deve pensare a come realizzarlo. Anche a costo di tornare al voto entro pochi mesi, ciò che conta è riuscire a garantire all’Italia una legislatura stabile per i prossimi anni. Dopo un anno di governo Monti, la cui priorità è stata mettere i conti in ordine a qualunque costo, ora la parola d’ordine è un’altra: riforme. L’Italia non è solo un paese in crisi e strutturalmente decadente, è innanzitutto un paese in ritardo: negli ultimi vent’anni sono mancate totalmente politiche riformiste nel campo del lavoro, dell’istruzione, della lotta alla criminalità organizzata, nella gestione dei fondi previdenziali. Soprattutto è un paese che ancora deve darsi un assetto istituzionale ben definito, tanto è vero che deve essere realizzata una legge elettorale che tale possa definirsi, un’architettura costituzionale definitiva per ciò che concerne il rapporto tra Stato e Regioni ed infine una riforma complessiva del sistema giudiziario. Dulcis in fundo, sarebbe opportuno affrontare in maniera lucida la questione meridionale: è dagli anni 60′, cioè dalla costituzione della Cassa per il Mezzogiorno e dalla creazione di poli industriali e siderurgici nazionali come l’Italsider, che in Italia non si affronta concretamente il problema del divario economico tra Nord e Sud.
Eppure, la crisi che l’Italia sta attraversando è solo in parte economica: è innanzitutto politica. Continuare a resistere, confidando magari di sopravvivere fino a quando l’Europa non sarà uscita fuori dalla recessione, equivale a rendere vano qualunque sacrificio. Ci si sacrifica oggi per non doversi ripetere domani. Da questo punto di vista si paga il conto di una mentalità “accattona”, dal momento che dal dopoguerra ad oggi il nostro Paese ha costruito la propria fortuna anche grazie agli aiuti altrui: prima aderendo al Piano Marshall, poi confidando nella protezione politica ed economica degli Stati Uniti nel corso della guerra fredda, infine ricorrendo all’euro nel tentativo di entrare nel club delle grandi economie europee. Purtroppo o per fortuna la storia recente non prevede più per l’Italia simili scorciatoie: l’Europa è un gigante addormentato, conscio delle proprie potenzialità ma incapace di ergersi con tutto il suo peso politico ed economico sulla scena politica mondiale; gli Stati Uniti non considerano più l’Europa come il centro dei propri interessi, preferendo concentrare lo sguardo sull’Asia e sul Sud America e sulle sue economie emergenti; la Germania è sì la prima nazione europea, però non ha la forza politica per guidare il Vecchio Continente fuori dalle secche della recessione economica. Può sembrare dunque paradossale visto l’attuale momento di difficoltà, ma è giunta l’ora che l’Italia assuma consapevolezza dei suoi limiti e delle sue capacità ed ambisca al ruolo di paese leader in Europa e nel Mediterraneo. Perché ciò avvenga è necessario che si apra oggi una nuova stagione politica, fatta di riforme e ridefinizione degli attuali assetti costituzionali. La Seconda Repubblica in questo ha fallito. Non è stata in grado di ricominciare laddove aveva finito la Prima, e al contrario si è tramutata in un mostro peggiore del suo predecessore. I vent’anni di governi Berlusconi non potranno essere superati nel corso di pochi anni. Troppo è stato distrutto perché tutto sia risolto in poco tempo. Si deve dunque avere pazienza e non temere di fallire. La crisi economica non potrà essere superata se non guardando al domani, decidendo per tempo quel che vogliamo diventare. Occorrono in questo pazienza e senso istituzionale. E forse è proprio questo il lascito peggiore della Seconda Repubblica: l’aver dato al Paese una classe dirigente corrotta ed incapace, a capo d’una società che agli ideali e ai valori preferisce troppo spesso istinti viscerali ed ambizioni sfrenate ed irrealizzabili.
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