L’Italia rappresenta, dal punto vista politico e politologico, un case study unico al mondo, in quanto presenta caratteristiche tali da aver spinto vari studiosi a radunarle sotto l’appellativo di “anomalia italiana”. Tra le analisi della situazione politica italiana fatte da studiosi stranieri, è particolarmente interessante quella di Perry Anderson nel suo studio The New Old World (2009), in cui definisce l’Italia come uno Stato nazionale debole, indebolito da “governi immobili, una corruzione endemica e una criminalità organizzata militarizzata” (pag. 280) e dalla crescente integrazione nelle strutture sovranazionali dell’Unione Europea, la cui forte impronta neoliberista lascia poco spazio di manovra ai singoli Stati membri sulle questioni di politica interna ed economica, in particolare.
Le anomalie della politica italiana sono state analizzate anche da Ernesto Lushan in una sua opera del 2005, On Populist Reason, dove rileva che “[…] l’Italia è il sistema politico meno integrato dell’Europa occidentale, quello in cui lo Stato nazionale è meno abile a egemonizzare i vari aspetti della vita comunitaria. In una simile situazione, la comunità non può essere presa per garantita, e le richieste sociali sono recepite in modo imperfetto dall’apparato statale centrale” (pp. 190-1).
L’Italia, come emerge da queste analisi, è dunque caratterizzata da un debole apparato statale e governativo, la cui distanza dalla realtà materiale e sociale del Paese è andata progressivamente aumentando dopo la fine della Prima Repubblica a seguito degli scandali di Tangentopoli. Da allora questo processo è proseguito in modo quasi costante, anche se vari tentativi – di cui molti infruttuosi – sono stati fatti per cercare di ridurre questa distanza e superare il problema fondamentale dell’anomalia italiana; in questa cornice è possibile leggere l’apparizione dei due movimenti/partiti che hanno segnato maggiormente la storia politica dell’Italia recente: il berlusconismo (nelle sue varie incarnazioni successive) dall’inizio degli anni ’90 e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo oggi. Per quanto politicamente molto distanti, questi due movimenti sono accomunati da vari punti politologici, come emerge analizzandoli da un punto di vista astratto.
Un confronto apparentemente azzardato
Fare – o comunque proporre – un simile confronto è sotto molti punti di vista “scomodo”, giacché richiede innanzitutto una neutralità valoriale difficile da mantenere in questi casi, e pone non pochi problemi d’interpretazione. In ogni caso, si tratta di un confronto principalmente nel campo dei mezzi e dei modi di fare politica da parte di questi attori caratteristici del panorama italiano, e dei portati teorici ancor prima che ideologici che li caratterizzano, partendo – per motivi cronologici – dal berlusconismo, che per primo è apparso sulla scena ed il cui influsso sulla storia politica italiana è stato assai più importante. Nota metodologica: per comodità di analisi si considera il berlusconismo come un movimento, prima ancora che un partito, in quanto le sue molteplici trasformazioni parlamentari, la sua composizione e la sua difficile caratterizzazione ideologica ne rendono difficile la reductio a partito.
Il primo punto su cui è possibile trovare una concordanza tra i due movimenti è la loro comparsa in un momento storico particolarmente difficile della storia politica italiana. Berlusconi era un imprenditore molto importante dell’Italia della Prima Repubblica, e il suo impero mediatico faceva di lui una figura centrale nell’ambito della Destra liberale di fine anni ’80, ma per sua fortuna i suoi legami con la politica non erano stretti e dichiarati a tal punto da portare ad un suo diretto coinvolgimento nell’enorme scandalo che fu Tangentopoli, cosa che gli consentì – dopo aver radunato intorno a sé politici, pensatori e seguaci del “berlusconismo” di vario genere – di presentarsi con un movimento politico che si ponesse in modo antitetico rispetto alla “vecchia classe politica”, uscita distrutta dagli scandali e dal collasso del sistema della Prima Repubblica. Similmente, Beppe Grillo è emerso come leader di un movimento di contestazione e alternativo ad una concezione di politica “vecchia” in un momento di agonia del sistema democratico come quello attuale.
Entrambi si fanno portatori di un concetto di antipolitica che è connaturato alla situazione italiana, e che non si configura come un’opposizione radicale alla concezione di politica democratica, ma come una sua profonda critica, animata dalla volontà di scalzare la classe politica preesistente e generalmente ritenuta obsoleta, incapace di rapportarsi alle nuove sfide portate dalle trasformazioni occorse nel sistema-mondo.
Le somiglianze – sempre dal punto di vista teorico – continuano se si considera come entrambi i movimenti sono sostanzialmente post-ideologici, frutto dell’uni-polarizzazione del mondo dopo il crollo del blocco sovietico e la trasformazione intrapresa dai socialismi asiatici. La venuta meno su scala globale di confini definiti tra le varie forme ideologiche moderate, soprattutto quella socialdemocratica, ha reso più fluido e meno definibile il posizionamento di molti movimenti e partiti all’interno dei parlamenti nazionali. La scelta della posizione parlamentare da parte dei belusconiani prima e del Movimento Cinque Stelle adesso non quindi caratterizzato da una questione ideologica di stampo tradizionale, ma da un loro riferirsi ad una scala di valori Destra-Sinistra in fase di ricostruzione, in cui l’appartenenza ad un determinato settore deriva più dal vuoto politico lasciato dalla forza politica scalzata nella competizione elettorale che da una reale appartenenza ideologica.
Quest’aspetto post-ideologico si riflette sulla composizione dell’elettorato, sia attivo che passivo, dei due movimenti. Per quanto riguarda l’elettorato attivo (ossia i votanti) entrambi i movimenti hanno una certa trasversalità verticale rispetto alla divisione per classi sociali, prendendo voti sia dalla lower-middle e lower class che dalla upper-middle class e, nelle loro fasi iniziali di una ampia trasversalità orizzontale, prendendo voti da elettori delusi dalle proprie parti politiche di appartenenza. Per quanto riguarda l’elettorato passivo, la trasversalità è altresì sensibile: alla sua discesa in politica Berlusconi attirò nella sua orbita anche appartenenti al Partito Socialista e al Partito Comunista, come Giuliano Ferrara, per fare un esempio; allo stesso modo, il Movimento Cinque Stelle sembra aver incluso al suo interno rappresentanti di ogni parte politica, accomunati dal comune sentimento antipolitico, ma provenienti da disparate aree ideologiche. Questa trasversalità si congiunge con un altro elemento di grande importanza nel definire l’anomala situazione politica italiana, ossia la nostra (oggettivamente) discutibile legge elettorale, attraverso la quale si è avuto il distacco quasi completo dell’eletto dall’elettore, rendendo il primo un “nominato” sottoposto ad approvazione popolare più che un rappresentante della sua circoscrizione di provenienza. Inoltre, questo sistema ha generato una classe nuova classe politica composta in larga parte di non-politici, persone che sono arrivate a trovarsi in organi legislativi e/o esecutivi senza però provenire da alcuna scuola di partito, e spesso senza avere la minima preparazione tecnica (per non dire culturale) al ruolo che sono state chiamate a ricoprire. Questo senza dubbio garantisce un ricambio all’interno della classe dirigente, ma la rende spesso più inefficiente e vulnerabile a coloro i quali hanno interesse ad influenzarne le scelte riguardo la gestione della cosa pubblica: per questo motivo, questi sono spesso fortemente soggetti all’indirizzo dettato dal leader di movimento, a cui si allineano in modo pedissequo.
La lista delle somiglianze tra i due movimenti si può arricchire con due punti in cui la somiglianza è dettata dall’utilizzo di un concetto, seppure da punti di vista radicalmente diversi: il populismo politico e l’uso massiccio dei media. Per quanto concerne il populismo politico basta fare riferimento alla strategia comunicativa utilizzata dai due leader e analizzarne le somiglianze: l’uso di un linguaggio semplice, spesso puerile, in cui sono ricorrenti slogan e prese in giro dell’avversario politico attraverso cui si facilità l’identificazione di questo per i membri del movimento, ed un ricorso regolare a promesse di dubbia attualità – come il Contratto con gli Italiani di Berlusconi. Inoltre, difficilmente i due leader parlano in confronti dialettici in cui le loro posizioni potrebbero essere messe in difficoltà da parte degli avversari politici; essi preferiscono un collegamento diretto – attraverso la propria rete di media di riferimento – con la popolazione, applicando le strategie linguistiche di cui sopra. In particolare, Berlusconi fa riferimento ad un registro tipico del populismo di tipo machista, identificando se stesso in una sorta di figura paterna e sempre virile della nazione.
L’uso dei mass media rappresenta quindi un elemento centrale nella comunicazione politica di ambedue i movimenti, attraverso cui ottengono la loro rilevanza politica su scala nazionale e cercano, ognuno con i propri mezzi e obiettivi finali, di risolvere la parte dell’anomalia italiana evidenziata da Lushan, ossia l’imperfetta comunicazione tra la società e la classe politica, problema divenuto grave per la democrazia italiana quando la scomparsa dei partiti di massa ha compromesso il rapporto tra la politica e la “base”. Sotto quest’aspetto vi è anche una delle maggiori divergenze, anche teoriche, tra i due movimenti, in quanto si contrappongono da un lato un uomo che per più di vent’anni ha cercato (spesso con successo) di modificare la società italiana attraverso i modelli proposti dal suo impero mediatico, offrendo una soluzione molto eterodossa al problema della difficoltà di comunicazione – invece di ridurre la distanza tra classe politica e società modificando la classe politica e rendendola più permeabile agli stimoli provenienti dal basso, Berlusconi ha di fatto cercato di creare (e, in un certo senso, creato) una società che fosse adatta alle sue esigenze e concezioni, riducendo quindi la difficoltà di comprensione e comunicazione delle esigenze sociali.
Diversa, anche se su certi punti in modo non eccessivo, la posizione del Movimento Cinque Stelle, secondo le posizioni espresse nel programma e negli atti del loro leader Grillo. Dal punto di vista programmatico il Movimento propone una forma di consultazione plebiscitaria continua sull’operato governativo attraverso Internet, con cui la “base” dovrebbe poter esprimere le proprie esigenze ed operare una funzione di indirizzo e controllo – anche se ovviamente una simile soluzione ha degli innegabili problemi attuativi, tra cui l’arretratezza tecnologica che tutt’oggi affligge l’Italia e la mancanza di consapevolezza da parte di molta parte della popolazione, e non ultima la lentezza di una simile procedura, che renderebbe ancor più lento l’operato del Governo – in quanto dovrebbe sottostare continuamente all’approvazione popolare. Nella pratica però l’operato del Movimento nella figura di Grillo è ancora alquanto distante dalla teoria proposta, in quanto Grillo attraverso il suo blog e le sue uscite pubbliche non si offre ad un confronto diretto con le parti politiche, ed anzi cerca in ogni modo di “formare ideologicamente” la base a suo uso e consumo.