di Miriam Picozzi
“Risplende ai miei occhi più di qualsiasi altro quadro veduto sino ad oggi. Non so distinguere se ciò dipende dal fatto che il mio intelletto possiede ormai più esperienza o se è perché è veramente il quadro più perfetto di quanti io abbia mai veduti”. Così scriveva Goethe.
Era il 3 novembre 1786 quando l’autore tedesco, in compagnia dell’amico pittore Wilhelm Tischbein, si recava nel Palazzo del Quirinale per presenziare alla messa celebrata dal Pontefice Pio VI, quando si imbatteva nella pala d’altare realizzata da Tiziano fra il 1533 e il 1535 per la chiesa di San Nicolò della Lattuga di Venezia.
Oggi, a una distanza temporale di oltre due secoli dalla testimonianza degli scritti di Goethe, in quello stesso nucleo architettonico dell’Urbe che convoglia le Scuderie del Quirinale, il Palazzo del Quirinale e quello della Consulta, trionfa ancora vigoroso il colore di Tiziano che, insieme al disegno di Michelangelo, si impone come emblema dell’intera arte del Cinquecento secondo molti critici contemporanei. Oggi, dal 5 Marzo al 16 Giugno 2013, le Scuderie del Quirinale ospitano il pittore cadorino in una mostra curata da Giovanni Carlo Federico Villa, docente di Storia dell’Arte Moderna e direttore del Centro di Ateneo di Arti Visive dell’Università degli Studi di Bergamo.
La mostra si articola in dieci sale dislocate in due piani riunendo opere disperse in decine di musei nel mondo, dal “Ritratto di Carlo V con il cane” del Museo Nacional del Prado di Madrid all’ “Autoritratto” berlinese, dall’ “Allegoria del Tempo governato dalla Prudenza” della National Gallery di Londra al “Ritratto di Ranuccio Farnese” conservato alla National Gallery of Art di Washington e facente parte della collezione di Samuel H. Kress. Non mancano i capolavori dei musei italiani, la “Flora” dalla Galleria degli Uffizi e, per citare un altro esempio, il “Ritratto di Paolo III senza camauro” dal Museo di Capodimonte nelle terre partenopee.
Un percorso che ci guida nel colore di Tiziano, un pittore dalle movenze signorili e dal temperamento aristocratico, desideroso di onori e turbato dalle invidie che lo mostrano avverso ai suoi colleghi pittori, in quel suo colore che agli esordi nel primo decennio del Cinquecento fa propria la riforma tonale di Giorgione da Castelfranco modulando con la luce forme e volumi, così vicino al tratto e alla pennellata del maestro, quasi mimetico da aprire complessi dibattiti critici sulle attribuzioni e sulle datazioni; in quel suo colore che negli anni della senilità si stende sulle tele in tutto lo spettro della luce con l’ausilio di solo tre pigmenti cromatici – il bianco, il nero e il rosso.
Un colore apprezzato dai pontefici per la sua capacità di conservare “l’idea della verità in ogni oggetto” e “di imbellire la realtà dentro i confini del vero”, che ha portato a numerose commissioni di pale d’altare e stendardi processuali fra il anni Trenta e Cinquanta del Cinquecento.
Un colore conteso. Riconosciuto “primo pittore” dall’Imperatore Carlo V, richiesto nelle corti sovrane, così Speroni Sperone, scrittore padovano, commenta l’essere ritratto dal divino Tiziano, considerato un grande onore in quell’epoca – “Meglio essere dipinto da lui che generato dalla natura”. Era il secondo decennio del Cinquecento quando Tiziano esordisce come ritrattista, tecnica pittorica verso la quale era particolarmente versato per indole e tecnica, riuscendo a conciliare aulicità e monumentalità dei rapporti compositivi con la fedeltà al vero ed effetti di realismo.
Così le Scuderie del Quirinale dopo aver accolto le mostre su Antonello da Messina (2006), Giovanni Bellini (2008), Lorenzo Lotto (2011) e su Tintoretto (2012) – tutte curate e coordinate Giovanni F. C. Villa – concludono questo ciclo sulla pittura della Serenissima con Tiziano, ricostruendo il suo percorso più autentico che ricopre un arco temporale di sessanta anni, in quello “che rappresentò più che l’ ”altro Rinascimento”, la nascita della pittura moderna”.