di Marco Chiappetta
TRAMA: Irene detta Miele (Jasmine Trinca), trentenne dalla vita disordinata e senza direzione, svolge all’insaputa del padre e del fidanzato (Vinicio Marchioni) un’attività clandestina e illegale di assistenza ai malati terminali, a cui somministra barbiturici veterinari comprati in Messico, aiutandoli così a morire. Qualcosa nel suo aspro lavoro e nella sua vita arida si muove quando scopre che un cliente, il cinico ingegner Grimaldi (Carlo Cecchi), non è malato, ma solo depresso: in crisi di coscienza e consapevole di non essere un’assassina, vi instaura un’amicizia particolare, che si appiglia al piacere di una vita sempre (forse) irrinunciabile.
GIUDIZIO: Per il suo esordio alla regia Valeria Golino ha scelto una base letteraria (“A nome tuo” di Mauro Covacich, sotto lo pseudonimo di Angela Del Fabbro), un tema forte e uno stile visivo molto essenziale, privo di fronzoli, spezzato nel montaggio e nella musica, realizzando un’opera coraggiosa e importante, che rifugge dalle polemiche sul pro o contro l’eutanasia, e che, senza domandare al pubblico né giudizio né partecipazione, vuol solo raccontare l’itinerario psicologico seminato di dubbi e pensieri nichilisti della sua ottima protagonista (una Jasmine Trinca a cui giova il look mascolino underground), che ha meno entusiasmo e meno speranza nella vita dei suoi clienti che aiuta a morire. Nessuna scorciatoia rassicurante, ben inteso, ma la sua leggerezza, il suo dinamismo narrativo, il suo impatto visivo-emotivo ne fanno una variazione interessante sul tema e uno sguardo cinematografico notevole. Solo il tempo saprà dirci se la promessa della regista napoletana sarà mantenuta o no, ma per ora, nel panorama abulico del cinema italiano chiuso su se stesso a testuggine, è una piacevole sorpresa. Sarà presentato a Cannes nella sezione “Un certain regard”.
VOTO: 3/5